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Primo Maggio: festa del lavoro offuscata da disoccupazione crescente e diritti negati

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Ieri Primo maggio, festa del lavoro. Tante le manifestazioni nel mondo per richiamare il diritto al lavoro, e così anche la tutela della dignità e della sicurezza dei lavoratori, cosi come auspicato da Papa Francesco. Ne abbiamo parlato con Luca Visentini, segretario confederale del Ces, la Confederazione dei sindacati europei a Bruxelles, e Luigi Cal, direttore dell’Oil-Organizzazione internazionale del lavoro, in Italia. Una ricorrenza internazionale che affonda le sue radici nella seconda metà dell’800, in difesa dei diritti dei lavoratori, sotto il motto “otto ore di lavoro, otto ore svago, otto ore per dormire”, coniato in Australia nel 1855 e condiviso poi da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. La data fu invece scelta a Parigi nel 1889 dal Congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori, a ricordo della manifestazione operaia repressa nel sangue il primo maggio di tre anni prima a Chicago, negli Usa. Tempi lontani ma il tema del lavoro resta prioritario in tutte le democrazie.

Dott. Visentini, diritto al lavoro e incremento del Pil spesso oggi divergono in molti Paesi sviluppati e la crisi economica ha aggravato la situazione. Ecco, questo è accettabile?
Non solo non è accettabile dal nostro punto di vista, ma – secondo noi – non è neanche vero, nel senso che noi verifichiamo che un aumento del Pil sano e duraturo si accompagna sempre anche un incremento dei posti di lavoro e con maggiori tutele sociali. Si è innescato un meccanismo – molto ideologico – di distorsione dei parametri dell’economia, in base al quale per incrementare la competitività e la produttività delle imprese, bisogna semplicemente incrementare la flessibilità. Ma la realtà è che questa ricetta viene proposta laddove non si riescono a mettere in campo delle politiche che facciano veramente crescere l’economia. Allora, invece che aumentare i posti di lavoro, si dividono i posti di lavoro già esistenti tra un numero di lavoratori superiore per cercare di combattere la disoccupazione e quindi deprimendo i salari e deprimendo le tutele. Secondo noi questa non è una versione – diciamo – virtuosa della crescita: la crescita si deve accompagnare alla coesione sociale, alla crescita dei diritti. Questo tema della crescita insieme ai diritti è proprio la parola d’ordine fondamentale che il Primo maggio ha quest’anno in tutti i Paesi d’Europa.

Dobbiamo forse registrare passi indietro nel cammino dei lavoratori?
Decisamente! Quello che è successo pochi giorni fa in Bangladesh lo testimonia. La cosa che mi ha colpito di più sono state le dichiarazioni delle grandi multinazionali europee e statunitensi, che hanno dichiarato che non è un loro problema garantire che i loro subappaltanti garantiscano, a loro volta, le condizioni di lavoro sicure e tutelate dei lavoratori di quel Paese. Non si capisce bene chi dovrebbe farsi carico della sicurezza degli edifici, della sicurezza delle condizioni di lavoro e così via… Di fronte al fatto che lo Stato del Bangladesh e anche alcune imprese subappaltanti avevano chiesto un piano straordinario degli investimenti, che passava anche attraverso un incremento dei prezzi che le multinazionali devono pagare per farsi confezionare i prodotti, che poi rivendono – certe volte – a cento volte il loro valore sui mercati occidentali: di fronte a questa richiesta, queste imprese multinazionali hanno risposto che sostanzialmente non gliene importa niente! Ecco, credo che questo vada esattamente nel senso inverso rispetto all’appello che Papa Francesco ha fatto e che noi condividiamo pienamente.
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Dott. Cal, l’impressione è che la crisi economica globale abbia regredito perfino i diritti acquisiti in molti Paesi sviluppati….. Si parla forse troppo di Pil, di Borse, di spread e poco della vita dei lavoratori?
E’ proprio così! La speculazione finanziaria, seguita dalle politiche restrittive e recessive, non ha che danneggiato i lavoratori e i meno abbienti innanzitutto e ha tolto loro – quello che anche l’Ilo considera un diritto fondamentale dell’uomo – il lavoro. Qui siamo di fronte ad una non crisi ma degenerazione strutturale del sistema economico e in questa degenerazione ci sono tre elementi: uno sfaldamento della coesione sociale e uno sfaldamento della cultura di solidarietà; il rischio di una rivolta sociale; e, terzo, c’è anche una regressione dei diritti acquisiti in molti Paesi sviluppati, come lei diceva. L’Ilo lo chiama il lavoro dignitoso, cioè il lavoro con diritti, con salute e sicurezza. Beh, questa dignità del lavoro è in declino anche e sempre più nei Paesi sviluppati. Infine, sicurezza nei luoghi di lavoro: i dati che l’Ilo ha fornito quest’anno sono di due milioni di morti sul lavoro all’anno; circa 5.500 morti al giorno. Cosa costa al mondo, al prodotto mondiale, tutta questa insicurezza nei luoghi di lavoro e queste morti? Costano circa 4 punti per cento del Pil mondiale. Pensi lei cosa si potrebbe fare con queste risorse… Qui non posso non ricordare un fatto sconvolgente: spesso le imprese del nord del mondo, ma non solo, che sono nei Paesi in via di sviluppo a caccia di super profitti, lasciano trasformare i luoghi di lavoro in luoghi di morte e di schiavitù. Allora, i 400 e più morti di Dacca, in Bangladesh, sotto le macerie, che lavoravano per imprese con marchi europei… Beh, fanno veramente riflettere! Siamo veramente lontani, e non vorrei essere troppo pessimista, dal diritto al lavoro, dalla dignità dei lavoratori e dalla sicurezza nei luoghi di lavoro.

L’Europa in particolare lamenta un calo davvero preoccupante nell’occupazione, specie dei giovani. Quali indicazioni sono emerse nella recente Conferenza regionale dell’Oil, che si è svolta a Oslo, in Norvegia
L’Ilo ad Oslo ha fatto due appelli ai propri costituenti: i governi, le imprese e i sindacati. Il primo appello è quello di ristabilire la fiducia e la responsabilità tra tutti gli attori: le banche, le imprese, i sindacati, la società civile in cui noi pensiamo la Chiesa possa e stia giocando un ruolo importante, e la comunità politica. Come secondo appello Oslo ha chiesto di evitare di contrapporre i temi della competitività, delle riforme strutturali, del consolidamento fiscale agli altri temi come l’occupazione di qualità, gli investimenti nell’economia reale e le misure di stimolo. Ci si può sedere attorno al tavolo imprese, sindacati e governi e discutere in contemporanea di tutti questi temi. Finora si è guardato solo e piuttosto alla finanza, alla competitività, al consolidamento dei bilanci, lasciando per un secondo tempo l’occupazione e gli investimenti nell’economia. Bisognerebbe capovolgere questa situazione. Questo è l’invito principale che viene da Oslo.


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