Ogni sequestro fa storia a se. Per circostanze, territorio, referenti. E se è vero, come ha detto il ministro Bonino a Londra, che “non è un segnale positivo il silenzio che grava su Domenico Quirico” a quasi un mese dalla scomparsa, è pur vero che la situazione in Siria è molto particolare dopo due anni di devastante guerra civile. E’ un fatto comunque che in questi ultimi diciotto mesi la Farnesina è riuscita a risolvere 37 casi sui 39 che hanno coinvolto nostri connazionali. L’epilogo è stato tragico solo per Silvano Trevisan e Franco Lamolinara, giustiziati dai rapitori o vittime di un blitz sbagliato, per il resto le trattative, spesso sotterranee, hanno portato a risultati positivi.
L’unica vicenda che ancora non si riesce a risolvere, a parte Quirico, è quella di Giovanni Lo Porto, giovane volontario siciliano, ostaggio da quindici mesi. Su questo caso c’è il riserbo più assoluto, imposto anche alla famiglia che invece vorrebbe urlare la propria angoscia.
Nonostante il silenzio si sa tuttavia che Lo Porto è presumibilmente prigioniero nel Waziristan del nord, una delle province autonome del Pakistan , le famose zone tribali, dove gli jihadisti e anche al Qaeda sono forti e presenti. David Rhodes, l’inviato del New York Times, è rimasto in mano ai rapitori quasi due anni. E questa considerazione rappresenta la più grande speranza di risolvere il caso. Ma di Giovanni purtroppo non si sa più niente: l’ultimo contatto con chi lo tiene in ostaggio risale al novembre scorso, troppo tempo fa.
Personalmente non sono mai stato d’accordo sul silenzio assoluto. Me lo spiegava Graziano Mesina che …di sequestri italiani se ne intende. A livello internazionale è lo stesso. Certo, mai dare informazioni e dettagli sulle trattative, ma il silenzio fa comodo solo ai rapitori. Il fragore invece spinge le autorità, sotto la spinta dell’opinione pubblica, a intervenire, intensificando gli sforzi.
Per questo, insistiamo. Non bisogna dimenticare Giovanni Lo Porto: deve tornare a casa. Come Domenico Quirico.