40mila giornalisti negli USA, 37 mila in Francia segnano le mutazioni epocali del mondo dell’informazione/comunicazione. Da noi 110mila con il tesserino dell’Ordine composto dalla meta di fantasmi, da un terzo di dinosauri in via di estinzione, e dall’altro terzo di sottopagati. Un OdG che sopravvive fuori del mondo, accumulando, senza frutto e costrutto, milioni di euro spremuti agli associati (senza distinzioni tra contrattualizzati, precari a due euro a pezzo e disoccupati) persino con la complicità di Equitalia. E, intanto, la categoria è sempre più povera e stremata dalla dilagante disoccupazione, E tormentata dalle voglie liberticide del sistema dei poteri con il digitale facile. L’INPGI rischia la pelle per il tracollo dei contributi previdenziali di migliaia di posti di lavoro volatilizzati, e ha prosciugato le riserve proprie e i fondi pubblici sotto le bombe del ricorso a valanga agli ammortizzatori sociali. La FNSI non sa più a chi dare i resti, ingolfata come è negli stati di crisi, e assediata dai free-lance a paghe risibili. Senza più risorse per davvero o per finta, gli editori piangono miseria e lasciano presagire il peggio sul rinnovo del contratto.
Mentre tanti colleghi non riescono ad arrivare alla fine del mese, l’Ordine nazionale e alcuni regionali navigano nell’oro. Con soddisfazione di via Parigi è stato raggiunto il record del tesoretto con gli avanzi d’amministrazione dei bilanci arretrati: ben 4milioni 795mila 185,38. Segue a ruota l’OdG del Lazio con 3milioni 624mila 725,82 euro. Con la Lombardia in testa tutti gli altri di livello regionale archiviano bilanci in attivo a livello fisiologico. Documenti finanziari faticosamente rintracciabili nelle homepage nonostante l’evidenza sia obbligata dalla legge sulla trasparenza delle amministrazioni pubbliche, la 150/2009. Parzialmente la rispetta l’OdG nazionale documentando solo incarichi e compensi.
Purtroppo, sono quattrini intoccabili e non possono essere destinati alla solidarietà verso i colleghi a spasso, all’arricchimento culturale e non solo all’aggiornamento professionale di routine previsto dalla miniriforma del governo Monti, alle grandi inchieste di mercato sui destini dell’informazione/comunicazione e dei sistemi editoriali multimediali. Sul loro impiego se ne potrebbe discutere soltanto se finalmente si sciogliesse l’Ordine ormai in dirittura d’arrivo elettorale per oltre 500 posti da spartire (compresi i consigli di disciplina destinatari della deontologia finora nelle mani dei consigli degli OdG).
La legge ordinistica del 1963, partorita ai tempi della penna bic, è piena di muffe che la corrodono. Con i commi f e g dell’art. 20 e persino con il dl luogotenenziale 382 del 1944, si legano le mani agli amministratori degli OdG. Sotto l’occhio vigile del ministero della Giustizia si debbono spendere soldi solo per il funzionamento dei consigli salvo gli strappi alla moda sul filo del diritto per la pletora di premi giornalistici. Altrimenti potrebbe mettere bocca la Corte dei conti, perché in teoria il surplus finanziario dovrebbe essere restituito agli iscritti agli albi magari sotto forma di riduzione delle quote sociali.
E allora gli addetti ai lavori come giustificano i castelletti di avanzo di amministrazione? Al nazionale si accantona da epoca immemorabile un fondo per l’acquisto della sede e che ha raggiunto il tetto di 3milioni 630mila. Sede che probabilmente non si acquisterà mai (ora in via Parigi si è in locazione con l’organismo di famiglia, l’INPGI) e che, tuttavia, le risorse vengono conservate a futura memoria. Gli altri quasi un milione e 200mila sono destinati, come ha spiegato recentemente il segretario Giancarlo Ghirra, alla formazione professionale diventata obbligatoria per tutti i 110mila iscritti, centenari compresi fino a prova contraria.
Per la verità, anche in questo campo, le funzioni dell’OdG nazionale sarebbero esclusivamente di indirizzo, mentre la patata bollente è nelle mani degli OdG regionali (la loro autonomia è piena diversamente da quanto avviene nel sindacato dove le associazioni sono unite dal patto federativo nella FNSI). Peraltro, a livello europeo, si sta valutando la possibilità di aprire la partecipazione dei corsi anche ad interventi di terzi.
Fra gli Ordini regionali, di gran lunga il più ricco è quello del Lazio (22mila soci, numero inferiore solo ai lombardi) con euro accantonati per 3milioni 624mila e 725,82, più o meno la cifra messa da parte dal nazionale, e con destinazione, guarda caso, per l’acquisto di una sede, peraltro, senza troppa convinzione.