Milioni di lavoratori sono a rischio in tutto il Paese in caso di terremoto. Il sisma in Emilia dell’anno scorso ha messo in luce l’inadeguatezza dei capannoni costruiti prima delle norme antisismiche del 2005. Purtroppo quelle due scosse che hanno ucciso tanti lavoratori non hanno sensibilizzato nessuno. Al di fuori delle zone colpite non si sta facendo niente per mettere in sicurezza i capannoni industriali. La politica è insensibile ma sta ai cittadini e ai lavoratori farsi sentire per far verificare se la strutture dove lavorano rispettano le norme antisismiche. Riportiamo l’articolo dell’Espresso che solleva questo problema.
Emilia, la vergogna un anno dopo
di Michele Azzu
A 12 mesi dal terremoto costato la vita a 24 persone, l’adeguamento di sicurezza dei capannoni è stato fatto solo nelle zone già colpite. Tutto intorno le strutture rimangono a rischio crollo. L’anno scorso è successo di notte e nel fine settimana – spiega Carlo Soricelli, osservatorio morti sul lavoro – Se succedesse nelle zone industriali del Veneto, attorno Milano, o appena fuori Bologna? Di giorno, e in una giornata lavorativa? Sarebbe una carneficina.
A chi un anno fa ha vissuto il terremoto in Emilia Romagna capita ancora di sentire le scosse la mattina, al risveglio. Era il 29 maggio 2012, ore 9 del mattino: il terremoto colpì la bassa modenese uccidendo venti persone. Di queste, 13 morirono sotto i capannoni industriali: la Meta, la Haemotronics, la Bbg, la Sheril Williams. Nove giorni prima c’era stata la scossa nel ferrarese, con quattro morti sotto i capannoni della Ceramica Sant’Agostino, dell’Ursa e della Tecopress. Ventiquattro morti totali, diciassette solo nei prefabbricati industriali.
Se a molti ancora sembra di sentirle quelle scosse, l’allarme non è mai stato ascoltato. «L’adeguamento sismico dei capannoni, quello reso obbligatorio con la legge regionale 122 e il decreto legge 74, vale solo per le zone colpite», spiega Andrea Bergonzoni, ingegnere civile impegnato nella ricostruzione. «Fuori dal cratere sismico, a Bologna, questo tipo di capannoni sono quasi la totalità ed è un dato eclatante». La pensa allo stesso modo Carlo Soricelli, dell’Osservatorio di Bologna sulle morti sul lavoro. «Quei capannoni sono identici in tutta Italia. Ci sono milioni di lavoratori a rischio e non ne parla nessuno».
L’allarme esiste, ma pochi ne sono a conoscenza. Come spiega Fabrizio Gatti nella sua inchiesta per L’Espresso, dopo aver contattato le prefetture di mezza Italia: «Praticamente nessuno, alla pari degli abitanti di queste città, è consapevole del rischio». Non c’è consapevolezza neanche nell’epicentro del dramma emiliano, appunto i capannoni. «Sono i prefabbricati il problema», per Tomaso Trombetti, professore di ingegneria strutturale all’Università di Bologna, incaricato dalla Procura di Modena di svolgere le perizie sui crolli del 29 maggio. Così, mentre ora la ricostruzione a Modena e Ferrara ha reso quelle zone più sicure, è sul resto d’Italia che si dovrebbe intervenire. Continua Soricelli: «Quei capannoni sono gli stessi del Veneto, della Lombardia e del resto d’Italia. Sono tutti a rischio».
«La cassa integrazione per sisma scadeva a giugno», spiega Erminio Veronesi, responsabile Cgil della zona nord Modenese, quella di Mirandola e San Felice sul Panaro, la più colpita dalle scosse del 29 maggio «Ma è stata appena rinnovata per altre tredici settimane». Su 40mila lavoratori in cassa integrazione per sisma, all’indomani del terremoto, oggi ne rimangono 2mila. «Nel modenese sono ripartite il 90 per cento delle fabbriche». Il problema vero sono i contenziosi assicurativi: «Le aziende piccole hanno già iniziato le procedure di rimborso per la ricostruzione. Ma quelle più grandi aspettano i contenziosi con le assicurazioni, il rimborso della Regione è al netto dell’assicurazione». Veronesi lamenta inoltre la difficoltà delle procedure per accedere ai rimborsi: «Si fa fatica a capire dove finisce la regola e dove inizia la burocrazia deleteria».