“Chi è senza patria è senza diritti”. Saad Tarazi è un giovane ingegnere di origini palestinesi, ma vive e lavora in Italia dal 2004 dove ha studiato, ha conseguito una laurea e successivamente un master nel settore orafo. Ora vorrebbe avere la cittadinanza italiana ma le leggi vigenti non glielo consentono, allora ha deciso di rivolgere appelli alle istituzioni e alla stampa per rendere pubblica una storia, la sua, che dice, potrebbe riguardare i tanti invisibili che si trovano nella sua stessa condizione.
Saad arriva in Italia nel lontano 2004 per studiare e riesce ad ottenere subito un permesso di soggiorno. In Italia svolge tutta la sua carriera universitaria compreso il master e nel frattempo si mantiene lavorando. Nel 2008, tuttavia, cominciano a profilarsi i primi problemi legati al rinnovo del passaporto, mentre la famiglia che aveva lasciato a Gaza si trasferisce in Australia. “ In realtà- spiega- il problema è stato tra Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese, perché tutti e due sostengono di avere l’autorità di emettere il passaporto. A complicare la situazione i miei contrasti sia con Hamas, perché militavo in un partito contrario, sia con Israele.”
Inizia così l’odissea. Saad, che è di religione cristiana, fa dunque richiesta di asilo, che, vista la situazione nella Striscia viene subito accolta, ma invece di ottenere dei benefici si trova a far fronte a ulteriori restrizioni e ostacoli da superare… primo fra tutti la cittadinanza.
“…ho presentato domanda per ottenere la cittadinanza italiana il 9 settembre 2010, presso la Prefettura di Milano. A un anno dalla domanda, ho ricevuto comunicazione dalla Prefettura da cui si deduce che per concedere la cittadinanza si tiene conto non da quanti anni sono in Italia (dal 2004) ma dalla data in cui ho ricevuto lo Status di rifugiato politico, nel mio caso il 6 Novembre 2008, e solamente da tale data partono i cinque anni dopo i quali viene concessa la cittadinanza.
Successivamente ho fatto ricorso al TAR , e ho vinto. Qualche giorno dopo, il 26/04/2012, il mio avvocato ha inviato tutti i documenti alla prefettura di Milano, ad oggi non ho ricevuto nessuna risposta…”
Dura lex, sed lex… ma la legge ha delle ricadute concrete che, nell’esistenza del giovane ingegnere implicano la rinuncia ad un’ottima offerta di lavoro presso un’importante azienda orafa del Canton Ticino e l’impossibilità di andare a trovare la famiglia che nel frattempo si è trasferita in Australia. Finora a poco sono serviti le richieste inviate al ministero dell’Interno e gli appelli rivolti al Ministero dell’Integrazione e al Capo dello Stato, quest’ultimo, da parte del sindaco del suo Comune.
“ Sono convinto- conclude amareggiato nella lettera con cui rende pubblica la sua vicenda- che se fossi un calciatore o un personaggio famoso o se solo avessi presentato la richiesta di asilo politico subito dopo il mio ingresso in Italia, non avrei incontrato così tanti ostacoli e oggi sarei cittadino italiano già da tempo.
Il problema sembra essere che per la concessione della cittadinanza occorre conteggiare cinque anni dalla data del riconoscimento dell’asilo politico oppure dieci anni dalla data del primo permesso di soggiorno. Mi sembra che si tratti di un vero cavillo burocratico e chiedo perciò alle istituzioni italiane di essere considerato alla pari di tutti gli altri stranieri che, nelle mie stesse condizioni, sono fuggiti dal proprio paese e hanno avuto qui in Italia la possibilità di ricostruirsi una vita e un futuro.”