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L’informazione religiosa in Italia e in Europa

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«In Italia l’informazione religiosa è diventata sempre più “vaticanismo” nella sua accezione più riduttiva e provinciale, cioè cronache dalla Curia romana. Sono sempre di meno le notizie sulle altre confessioni religiose presenti nel nostro paese». Ingrao è vaticanista di Panorama, cura il blog «Urbi et Orbi» ed è autore del libro «Il Concilio segreto».

La stampa italiana non ha raccolto la sfida. Schiacciata tra l’indifferenza religiosa e il cattolicesimo di facciata che segnano una parte dell’opinione pubblica italiana, la nostra stampa ha deciso di allinearsi. E non ha neppure cercato di misurarsi con la sfida della società multireligiosa e multiculturale. È come se avesse rinunciato a priori a cercare di raccontare la complessità e l’evoluzione del nostro paese.

Tranne rare eccezioni, rubriche e inserti dedicati a una rappresentazione articolata e viva delle religioni e delle credenze in Italia sono stati sperimentati da quotidiani e periodici per poi essere rapidamente soppressi nella convinzione che «tanto non interessano a nessuno». Anzi, se è possibile, si è registrata addirittura un’involuzione: complice Vatileaks, gli scandali della Curia romana, le gaffes di Benedetto XVI, gli scontri tra i cardinali, l’informazione religiosa è diventata, negli ultimi tempi, sempre più «vaticanismo» nella sua accezione più riduttiva e provinciale. Cioè cronache dalla Curia romana. Come se l’informazione sul fatto e sull’esperienza religiosa in Italia potesse essere ridotta a un mezzo chilometro quadrato oltretevere. Discorso a parte, naturalmente, meriterebbero la vicenda della rinuncia di Ratzinger e il conclave, per la loro eccezionalità.

Le notizie sulla realtà delle altre confessioni religiose e sulle altre Chiese sono ridotte al minimo indispensabile: qualche sporadico evento relativo al dialogo, le elezioni delle comunità ebraiche, l’islam perennemente coniugato con terrore, fondamentalismo e ordine pubblico, qualche rarissimo richiamo alla realtà delle Chiese evangeliche e riformate (con il costante rischio di trovare qualcuno che puntualmente le definisce «sette»), le notizie (brevi di «spalla» o «taglio basso») sull’approvazione delle nuove Intese con lo Stato italiano. E la stampa cattolica non si sottrae molto a questi cliché. Spesso sembra che religione nella stampa italiana, quando non fa rima con cattolica, fa rima solo con immigrazione. Un ritardo che spiega anche la totale noncuranza con la quale i media di casa nostra hanno vissuto l’insabbiamento della discussione in merito alla legge sulla libertà religiosa che poteva rappresentare la grande occasione per il Parlamento e il paese per compiere un’ampia e approfondita riflessione sull’Italia religiosa. Un’opportunità perduta: la discussione su quella legge, consentirebbe di scandagliare a grande profondità la ricchezza e la diversità delle convinzioni e dei modi di vita degli abitanti della penisola. Significherebbe confrontarsi su come declinare oggi l’articolo 8 della Costituzione. Ma c’è il timore di farlo per non irritare la Chiesa cattolica che, a parole, difende il modello di «religious freedom» anglosassone e, nei fatti, resta ben ancorata alla difesa del sistema concordatario.

L’esperienza nel resto d’Europa è diversa. Francia, Gran Bretagna e Germania offrono esempi importanti sia a livello di informazione pubblica sia a livello di stampa quotidiana e periodica. In quei contesti si è andata definendo più chiaramente la figura dell’informatore religioso, cioè del giornalista esperto della pluralità delle esperienze religiose e delle loro implicazioni politiche e culturali. Sono sorti così inserti di quotidiani e periodici, redazioni della tv pubblica, siti internet dedicati alle religioni. C’è tuttavia in Europa un problema diffuso che riguarda la tutela del diritto all’accesso ai media per tutte le confessioni e le comunità religiose. Si registrano ancora discriminazioni profonde nell’esercizio di questo diritto legate alle condizioni di vita, all’influenza, al potere politico ed economico di tali comunità. Occorre lavorare molto in questa direzione per garantire l’uguaglianza delle condizioni di accesso ai media per tutte le espressioni della religiosità. Questo dovrebbe essere l’obiettivo da perseguire anche in Italia. Non solo per dar conto del fatto religioso e della sua rilevanza nel paese, ma anche per trattare più correttamente il confronto sulle grandi questioni etiche e sociali con le quali ci misuriamo. Per esempio, come si fa ad affrontare in maniera esaustiva e non parziale la discussione sulle coppie di fatto, sul matrimonio omosessuale, sull’eutanasia con un’informazione «cattolico-centrica»? Non vi può essere pluralismo dei media senza una corretta rappresentazione del pluralismo religioso della società, che includa, naturalmente, anche atei e non credenti.

Ignazio Ingrao  Confronti.net


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