Padre Pino Puglisi, guardò in faccia gli assassini, quel 15 settembre di 20 anni fa;disse, “me lo aspettavo” e poi sorrise,poco prima che i killer gli sparassero a bruciapelo, nella sua Chiesa. Cosa volesse dire con quelle parole è abbastanza chiaro: sapeva Don Pino che fare quelle omelia e dare ai giovani quegli esempi di pulizia morale e di comportamento nella chiesa del Brancaccio di Palermo (il quartiere dei boss Graviano, tanto per far capire..),poteva essergli fatale. Ma il sorriso, disarmante nel tempo,perché portò i suoi assassini a diventare poi “pentiti”, aveva un altro significato, forse ancora più alto: pur essendo solo, in quel quartiere a combattere la sua battaglia , Padre Pino Puglisi sapeva che quando si è dalla parte del giusto,quando ci si batte contro la mafia, sai di essere in pace con la tua coscienza. E poi, da religioso, di essere in sintonia con la legge morale del cristianesimo,quella di stare dalla parte delle persone oppresse sia dalla povertà che dalla violenza mafiosa. Più di altri,lo sapeva, perchè non accettava compromessi, non era “anti” qualcosa ,ma usava se stesso per dare esempi in prima persona; e quindi fiducia.
Nei giorni delle minacce precedenti il suo assassinio, padre Pino Puglisi si trovò al tavolo di una pizzeria con uno dei suoi collaboratori. C’era paura, erano state incendiate in una stessa notte le porte di casa di tre volontari del Comitato intercondominiale di Brancaccio. Il parroco aveva subìto continue telefonate di minacce e lettere anonime, poi un’aggressione fisica,infine una molotov era stata lanciata davanti alla chiesa.
Padre Puglisi prese un pacchetto di stuzzicadenti, di quelli di plastica. Ne prese uno e disse al suo amico: «Spezzalo!». E quello lo ruppe. Poi ne prese due insieme e disse: «Spezza questi due». E quello li spezzò . Infine padre Puglisi prese il mucchio degli altri stuzzicadenti e concluse: «Ora prova a spezzare tutti questi insieme!». Con un semplice esempio spiegò che la solitudine mette a rischio le persone,ma l’unione fa la forza, “stiamo uniti”, sapeva che se la sua gente si fosse unita e ribellata ai clan,la mafia si sarebbe ritirata . Per questo lo fermarono con le armi.
Per quel sacrificio, per quell’esempio che lo ha portato alla morte, ora Padre PinoPuglisi è stato beatificato, è un martire della Chiesa. Un evento storico: è la primavittima di mafia che diventa beato nella storia della Chiesa cattolica. Vent’anni dopo,davanti a centomila persone accorse a Palermo, si è attivato un percorso diriconoscimento,di verità e di giustizia. Don Pino ha sconfitto chi l’ha ucciso, nella coscienza popolare, anche al Brancaccio ed ora anche nella Chiesa.
La Chiesa,con persone come lui, dimostra così di essere accogliente e condivisa, anche da chi non ha fede o vive semplicemente la propria laicità. Perché contano i principi comuni, conta la parte per la quale ti schieri, la Giustizia sociale, la Pace, la lotta alla Povertà e contro la corruzione violenta e mafiosa che toglie ai poveri per dare a pochi ricchi.
Il caso ha voluto che nello stesso giorno si svolgesse la beatificazione di PadrePuglisi in contemporanea ai funerali, a Genova, di Don Gallo. Le due piazze dei “valori”, a Palermo con Don Puglisi, a Genova nella moltitudine di voci, parole epersone dei vicoli e della sofferenza, hanno dato l’immagine plastica di cosa cerchi oggi la nostra società. Comprensione ,solidarietà,vicinanza,giustizia. E schieramento dalla parte di chi oggi fa più fatica a vivere e lottare per la giustizia e per i propri diritti. Nel “vuoto” di tanti luoghi della politica, si è riaffacciata in quelle due piazze, il “pieno” di sentimenti e valori dei luoghi delle domande, di riscatto dalla sofferenza. Padre Puglisi e Don Gallo,sono stati questi rifugi per migliaia di persone: ma con una differenza temporale profonda.
Padre Puglisi viveva, 20 anni fa, una sorta di missione in terra di infedeli,perché era stato lasciato solo. Come ha scritto Giancarlo Caselli,ricordando quelle sue parole “me lo aspettavo”, “forse don Pino si è ricordato delle tante volte che – in vita – si era guardato intorno e si era trovato solo. Non perché fosse qualche passo avanti rispetto alla posizione che gli spettava. Ma perché restavano indietro, spesso molto indietro, coloro che avrebbero dovuto essere accanto a lui. E la solitudine, si sa, sovraespone. Anche quando, come don Puglisi, non si è “anti” mafia o “anti” qualcos’altro”. E la solitudine uccide, quando hai di fronte la mafia. Allora vale la pena ricordare che non abbandonare chi lotta per i valori della civiltà, dei diritti e della giustizia, significa che ciascuno deve fare la propria parte, deve risollevare la propria coscienza,senza aspettare che chi lo fa quotidianamente, diventi un eroeperché ucciso. Non c’è un metro di giudizio, una misura della coscienza, ciascuno sa cosa significa dire dei “no” in certi momenti e dire altrettanti “si” quando si tratta di essere schierato dalla parte della giustizia e della cultura della legalità.
Padre Puglisi ha insegnato anche alla sua Chiesa, cosa significa a Palermo essere “per” la persona. Un prete ,vicino ai giovani di Brancaccio, che cercava di offrire ecostruire con loro alternative di vita rispetto alla presenza totalizzante di “Cosa Nostra”. E se c’è una cosa che la mafia non tollera è proprio il dissenso che ne contrasta coi il comportamento (non solo coi riti) l’egemonia culturale,prima forma di controllo del territorio. Specie se la contestazione viene da un sacerdote, visto che la mafia dietro la lupara ama coltivare i riti di un cattolicesimo pagano, fatto di santini, confraternite segrete e devozioni rituali. Spesso con la tolleranza complice di molti uomini di Chiesa: ma non di padre Puglisi, che ben sapeva che la mafia è impoverimento , impedimento allo sviluppo, gravissimo “peccato” sociale ,come aveva urlato ad Agrigento papa Wojtyla, qualche mese prima che a Brancaccio si scatenasse la vendetta contro quel parroco del Brancaccio.
“Oportet ut scandala eveniant” sta scritto nel Vangelo, a significare che per far capire che per scatenare una reazione positiva, o far emergere una reazione, è necessario “scandalizzarsi”: Ebbene, troppe volte non ci si è scandalizzati di fronte alla illegalità, alla violenza mafiosa nei comportamenti quotidiani; troppo spesso si è cercata la mediazione e la trattativa, per stanchezza, per quieto vivere, nelle migliori delle ipotesi. Per strategia politica e per consolidamento di posioni di potere economico e politico,nella più cruda ma purtroppo diffusa mentalità del potere di questi anni.
Padre Puglisi, Don Gallo,Falcone e Borsellino, ma anche le centinaia di vittime innocenti delle mafie, le migliaia di persone che nelle associazione, a partire da Libera, si battono ogni giorno scandalizzandosi per l’oltraggio che viene perpetrato ai danni dei più deboli da illegalità,ingiustizia sociale,violenza mafiosa,ci insegnano che la strada è già tracciata. Non arrendersi,chiedere e lavorare per ottenere ,in democrazia e nella non violenza, l’affermazione della legalità , dei diritti e doveri sanciti dalla nostra Costituzione, è un dovere.
La strada c’è, basta percorrerla, ma collettivamente, con una informazione corretta e che tenga ben accesi i riflettori sulle persone e situazioni a rischio. Perché non abbiamo più bisogno di eroi, ma di tante persone in cammino. Ora lo ha ricordato anche Papa Francesco,condannando con parole ancora più dure di Giovanni Paolo II, le mafie e le ingiustizie, in nome di Padre Puglisi , dopo aver ridato la giusta beatificazione ad Oscar Romero.
Ed è tempo di fatti quotidiani e di voglia di continuare a trasformare ogni giorno iprincipi in comportamenti. Senza paura .In fondo, come disse Paolo Borsellino, ”chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Il più tardipossibile, speriamo, almeno per vedere realizzati i progetti di legalità e giustizia in questo nostro Paese.