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Il senato delle meraviglie. Il caffè del 22 maggio

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Attenti, “Il Pd vuole abolire il voto”! L’allarme viene da Sallusti, Il Giornale, e da Berlusconi in persona. Il quale ultimo, per un giorno, si sente compagno di sventura del leader a 5 Stelle. “Vogliono eliminare me e Grillo”, titolo forte del Corriere della Sera. Berlusconi con l’ineleggibilità, prevista da una norma del 1957 per chi sia titolare di pubbliche concessioni (le frequenze televisive), Grillo per via del progetto dei senatori Finocchiaro e Zanda che, intendendo regolare i partiti, finisce per escludere chi partito non voglia diventare.

Anche Repubblica trae ispirazione da un episodio avvenuto in questo strano Senato delle meraviglie: “Stop alla legge salva-Dell’Utri”. In Commissione Giustizia, il PDL aveva proposto di dimezzare le pene per il “concorso esterno in associazione mafiosa”, reato che è costato due condanne a Dell’Utri, che ha portato Cosentino in carcere e il senatore D’Alì (sempre Pdl) ad essere indagato. Complotto scoperto e sventato. Come il tentativo di nascondere un nuovo condono edilizio (reclamato in Campania) in un articolo della legge per i terremotati dell’Emilia!

C’è altro sui giornali? Non molto. IlSole24ore annuncia la proroga degli aiuti per ristrutturare casa. La Stampa apre con il tornado in Oklaoma. Il Fatto con la notizia che una società del gruppo Fiat andrà a pagare le tasse in Gran Bretagna perché gli conviene. Punto. È il quadro, non esaltante del dibattito della giornata. Per la verità c’è anche un Matteo Renzi vestito da Fonzie sulla copertina di Chi. E la ferale notizia (per i tramologi e scoopisti di complemento), che quel coso rosso che si vede in una foto di via D’Amelio non era l’agenda di Borsellino ma un pezzo di parasole, senza misteri.

Se avessi 20 anni, forse vorrei leggere che ne sarà dell’Europa. Solo Barbara Spinelli racconta, su Repubblica, il passo avanti di Hollande verso una Unione politica. Ne svela limiti e contraddizioni (come si fa a proporre un governo politico solo per l’economia?), ma ne spiega anche la portata: la  Germania resta senza alibi. Nei prossimi mesi si deciderà la strada. Forse, se avessi 20 anni, sarei indignato per il modo con cui si parla e si scrive di legge elettorale. Il presidente eletto come il sindaco, “così si sa chi vince”. No “regoliamo i partiti”, è la Costituzione che lo chiede. Ma va, “introduciamo una soglia per il premio di maggioranza” mettiamoci al sicuro dall’intervento della Consulta e tutto come prima. Obietterei, se avessi l’età dei miei figli:  “ma come fate a non vedere che, gridando in televisione gli uni contro gli altri, vi siete spartiti fondazioni bancarie e unità sanitarie, direzioni di parchi ed enti di ogni genere. E gli elettori non conoscevano neppure il volto di chi stavano eleggendo nel nome di Romano o di Silvio, di Silvio o di Walter, di Pierluigi e di Silvio”.

Se avessi 20 anni! Marco Revelli, che non ha più venti anni, scrive sul Manifesto di ieri più o meno le stesse cose. E conclude che il Pd non ha futuro, che è destinato a scivolare lungo un piano inclinato verso l’irrilevanza e nell’indifferenza. Possibile. E, allora, caro Marco? Che gli diciamo a quei ragazzi: sbrigatevela da soli che noi siamo stanchi di sbagliare?

Ieri, sempre al Senato, il Presidente Grasso e alcuni altri interventi, hanno ricordato Francesco Renda, che ha vissuto due vite in Sicilia e ci ha regalato, prima di andarsene un piccolo, prezioso consiglio. La sua prima vita, da sindacalista e militante comunista. Segretario della Camera del Lavoro di Agrigento, al tempo delle lotte dei mezzadri che reinterpretavano in chiave siciliana “il vento del nord”, scioperi operai e Resistenza. A Portella della Ginestra, Francesco Renda mancò l’appuntamento con la strage di mafia, per un guasto alla moto. Da parlamentare siciliano, per tante legislature, e da comunista “responsabile” gli toccò poi gestire la lunga sconfitta.

Ma dal 72, dopo un passaggio al senato, si inventò una seconda vita. Presidente del Gramsci, lui laureato in filosofia, si fece storico. Prese a discutere con grandi siciliani del passato. Con Michele Amari, che contestava, ritenendo che la presenza araba fosse stata, dopotutto, solo una parentesi nella storia europea ed autonomista della Sicilia. Cercò lo spirito della Sicilia ribelle nei “Fasci siciliani”. Prese a indagare la storia della mafia e la leggenda dei Beati Paoli.  Provò a capire e a spiegare fino a che punto l’inquisizione avesse piegato e corrotto l’animo di Palermo.

Il consiglio lo dette anche a me, una volta parlandomi della sua “autobiografia”. Vedi, si può fare la storia e la si può studiare. Bisognerebbe farla e studiarla insieme.

Da corradinomineo.it


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