Amici di Articolo 21, ci risiamo. Ancora una volta è la cronaca (caso Mulè) a porre la politica davanti alle sue responsabilità. Il carcere per i giornalisti è una misura iniqua, ingiusta e profondamente sbagliata sotto ogni profilo giuridico e politico. Da anni si discute dell’abrogazione delle pene detentive per i reati a mezzo stampa, ma il Parlamento ancora non è riuscito a trovare una sintesi legislativa. Le polemiche furiose hanno impedito l’approvazione di una legge sacrosanta. E si è corso addirittura il rischio di leggi peggiorative. Con la collaborazione delle associazioni, in primis Articolo 21, ho presentato una proposta di legge (atto camera 191) che potrebbe essere una buona base di discussione. Proprio ad un’assemblea di Articolo 21, assieme ad altri parlamentari sensibili al tema fondamentale della libertà d’informazione, ho preso l’impegno di portarla avanti e di provare, entro la fine della legislatura, a farla approvare. La proposta è stata presentata il primo giorno utile, il 15 marzo, proprio a testimoniare il forte valore politico e democratico. Vuole essere una garanzia di libertà anche per le pubblicazioni web, anche se qualcuno di recente, strumentalmente, ha invertito il senso di questa proposta e mi ha attaccato in diversi blog. La proposta di legge mira ad offrire una disciplina innovativa relativamente alla posizione del giornalista nell’ipotesi di reati con il mezzo della stampa, agendo su due leve: quella volta all’eliminazione di sanzioni illiberali – quali la pena detentiva – e l’altra tesa a creare, attraverso il Giurì dell’informazione, uno strumento per la tutela tempestiva, fuori dunque dalle lungaggini del procedimento formalizzato davanti ai tribunali dei diritti del cittadino leso da interventi con il mezzo della stampa. Un punto fondamentale della legge è la sanzione pecuniaria per la querela temeraria. Il bavaglio all’informazione non passa tanto per la minaccia della detenzione, quanto per le querele presentate a scopo intimidatorio. Una vergogna, oltre che un vigliacco strumento di pressione psicologica nei confronti dei giornalisti, soprattutto dei moltissimi che fanno inchieste o che non lavorano per colossi editoriali in grado di difenderli in tribunale. E’ tempo che la politica recuperi il proprio ruolo propositivo e che il parlamento torni sovrano e che eserciti appieno il proprio potere legislativo. Avanti, nell’interesse di tutti.
* presidente del Misto alla Camera e Vicepresidente di Centro Democratico.