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Giovanni Falcone, memoria e non ricordo

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Il 23 maggio 1992 ci ha cambiato la vita. È forse anche la storia di questo nostro  Paese ,anche se questo aspetto sarà tema di discussione degli studiosi. Ma la strage di Capaci, la morte di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, fecero capire  anche ai più riottosi sostenitori della tesi avversa, che la mafia esisteva, era pericolosamente attiva e che viveva di collusioni, omicidi e stragi, di un rapporto con la politica che l’aveva fatta sopravvivere, anzi,prosperare in 50 anni di Repubblica.  Con il loro sacrificio, Falcone prima e Borsellino poi, suggellarono  il percorso incominciato con il maxi processo di Palermo il 10 febbraio 1986.

Cosa nostra li uccise per questo, per aver svelato i misteri della mafia e per aver fatto condannare la cupola mafiosa anche in Cassazione, con la sentenza definitiva che arrivò  con 19 ergastoli e 2665 anni di carcere, per 475 imputanti, proprio nel gennaio di quel 1992. È per aver rotto dall’ interno il meccanismo dell’omertà, con  Buscetta,primo collaboratore di giustizia, facendo emergere le collusioni mafiose dei cosiddetti ” colletti bianchi” legati alla politica , dando una spinta fortissima al reato di “concorso esterno in associazione di tipo mafioso”, poi entrato in giurisprudenza ,anche se sempre sotto tiro da parte di quella politica della pax mafiosa,più abituata alle assoluzioni per insufficienza di prove, che alla ricerca delle collusioni tra mafia e politica. Ma la storia ufficiale e consolidata, in Italia, si scontra ed incontra sempre con l’ intreccio tra misteri e dati di fatto, tra ricostruzioni processuali certe e tasselli mancanti che aprono antiche ferite , facendo venir meno la realtà storica accertata  e,soprattutto, quella Verità e Giustizia chiesta a gran voce dalla società civile italiana.  Da Capaci a Via d’Amelio, quell’estate del 1992 ha lasciato n fatti aperte troppe domande ancora senza risposte: quelle stesse che ora si stanno cercando anche nelle aule di tribunale.

Se è vero,com’è emerso dalle inchieste della magistratura,  che dopo Capaci tra Stato e mafia si cercò di intavolare una trattativa, appare incredibile che il processo su questi fatti parta solo ora,il 27 maggio 2013, ben 21 anni dopo quelle stragi. Ed ancor più insostenibile ,soprattutto per i parenti  delle vittime ma anche per l’Intera società italiana, e’ scoprire che quella trattativa si sarebbe intavolata con gli autori di una strage così efferata come quella di Capaci, pochi giorni dopo quei 5 morti dello Stato e quei funerali che avevan visto scendere in piazza migliaia e migliaia di persone  ,a Palermo, e sollevare le coscienze di un’intera nazione. Ancor più grave e’ sapere da Agnese Borsellino , dalla sua testimonianza resa in aula di corte d’Assise prima della morte, che il marito Paolo,pochi giorni prima del suo orrendo assassinio in Via d’Amelio, aveva capito i contorni di  quella trattativa già  iniziata. Un tentativo di “accordo” per una Pax mafiosa che Paolo Borsellino contrastava con tutte le sue forze , ben sapendo d’aver poco tempo  a disposizione ,avendo intuito d’essere entrato nel cono d’ombra di quell’esplosivo che l’avrebbe ammazzato di li a poco.

Bomba i cui padri ,ora,dopo tanti anni, ci sembrano molteplici, non più solo in cosa nostra. Chi è perché prese quella iniziativa? Che ci facevano tanti uomini dei servizi segreti in Via d’Amelio pochi minuti dopo lo scoppio della bomba? Perché la polizia indirizzò le indagini verso una sola direzione, subendo ( o ” facilitando”) le dichiarazioni del falso pentito Scarantino? Arnaldo La Barbera era a libro paga dei Servizi Segreti sin dal 1986e quindi a Palermo dirigeva la Squadra Mobile o lavorava per i servizi dopo quelle stragi? È per quali fini? La Barbera non c’ e’ più e non può rispondere, ma altri testimoni dell’epoca, sui colleghi noti i e superiori di quegli anni, sono ancora vivi.

Parlino ora, facciano capire chi è perché tentarono l’accordo con cosa nostra dopo quelle stragi degli anni 1992-93. Dicano in nome di quale conservazione del potere o segreti nascosti, hanno lavorato in quegli anni di grande cambiamento, mentre l’Italia chiedeva di voltare pagina e chiudere per sempre la mafia in carcere con i boss al 41 bis. Ma noi parliamo di memoria e non di ricordo,in questa giornata del 23 maggio, perché vogliamo che nella storia d’ Italia quei nomi e quei volti di persone morte per la giustizia e la legalità ,restino un monito ed una speranza, soprattutto per i giovani. Ma anche un segnale politico continuo e presente per il nostro Parlamento. Perché ,oggi più che mai, si continui nel solco tracciato da quei magistrati, rafforzando la lotta alla corruzione ed alle mafie cambiando la legge anti corruzione, reintroducendo il falso in bilancio per combattere il riciclaggio e le collusioni tra mafia e politica. Ridando più poteri investigati e di lotta alla criminalità organizzata agli ragni di polizia, impegnando le istituzioni nel rapporto costruttivo con i giovani e le associazioni, affinché si lavori sulle coscienze della legalità nelle scuole e nella società ,per i diritti dei cittadini ,per il lavoro  e la dignità , per i servizi sociali e la cultura come diritto e non come concessione dall’alto del politico di turno.

Assistiamo invece,troppo spesso, al tentativo di ridurre i reati come il concorso esterno in associazione mafiosa per salvare questo o quell’imputato eccellente, come accaduto,con un tempismo incredibile, proprio in questi giorni con il disegno di legge del senatore Campagna del  Pdl che voleva tagliare le pene  per questo  reato nel goffo tentativo di aiutare Dell’Utri. Ddl ritirato,ma chissà per quanto tempo…. Sino  alle leggi ad personam , alle riduzioni dei tempi di prescrizione per cancellare i reati di una sola persona che domina questa scena della giustizia da 20 anni. Al depotenziamento degli strumenti d’indagine ed addirittura alla continua riproposizione delle limitazioni alle intercettazioni per togliere strumenti investigativi, inventandosi “grandi orecchie” inesistenti. Arrivando anche alla  ridicolizzazione dei magistrati,come accaduto ad una delle più brave tra i  servitori dello Stato, come Ilda  Boccassini, ” colpevole ” d’aver sostenuto la pubblica accusa ai processi di Berlusconi, a Milano.  Proprio lei che, nessuno lo ricorda, era tra i sostenitori e tra le più fedeli amiche di Giovanni Falcone.

Eroe nazionale, Ilda Boccassini, quando indago’ sulla strage di Capaci,individuando il commando che fece saltare le auto di Falcone e della sua scorta. Diventata improvvisamente ‘toga rossa’ quando ha cominciato ad indagare  su Berlusconi.  La storia non si cambia: per questo oggi, 23 maggio, resta per noi tutti il giorno della memoria di quel che accadde allora a Capaci, fonte di domande cui aspettiamo risposte, ma anche momento della nascita della nostra antimafia, delle coscienze, della società ,della legalità , alla ricerca di Verità e giustizia.


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