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“E pensare che eravamo comunisti”

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La profetica commedia di Roberto D’Alessandro, al Teatro dell’Angelo fino al 26 maggio.

Autore, regista e protagonista della pièce, Roberto D’Alessandro scrive questa divertente commedia nel 2008, un anno segnato da notevoli cambiamenti sociali, sia in Italia che nel mondo. Dei primi dieci anni dell’atteso “Nuovo Millennio”, il 2008 è sicuramente l’anno più incriminato nella nostra memoria: il crollo del Governo e la forte instabilità politica, la profonda crisi economica e finanziaria degli Stati Uniti, il diffondersi a macchia d’olio dell’uso dei social network che modifica radicalmente la comunicazione, le lotte intestine di una sinistra dispersa che pare dimenticare le sue radici. Il conseguente e progressivo indebolimento della struttura sociale non ha potuto evitare la crisi all’interno della prima cellula di una società: la famiglia. Così Roberto D’Alessandro, da sempre acuto osservatore degli avvenimenti politici e sociali, intuisce che quella è il luogo ideale in cui ricostruire drammaturgicamente un momento storico nero che, nella sua scrittura scenica, oggi ci appare anche profondamente intuitivo e profetico degli anni a venire.

E’ questa la ragione per cui “E pensare che eravamo comunisti”, alla quinta ripresa, è di una sconvolgente attualità. Una famiglia, storicamente comunista, che vive in un lussuoso attico di Roma, in zona Parioli, si presta a più riflessioni da fare assieme all’autore e alle sue esilaranti battute. La milanese Giulia (Cristina Fondi) e il calabrese doc Rinaldo (D’Alessandro) si sono conosciuti nella Capitale negli anni settanta, durante il periodo delle lotte studentesche e delle manifestazioni di protesta contro il sistema. Dopo venti anni di matrimonio Giulia divide il suo tempo tra effetti e la sezione di Rifondazione Comunista che foraggia quotidianamente di beni di prima necessità: panini al prosciutto e vino rosso. Rinaldo, titolare di un avviato studio commercialistico, da Democrazia Proletaria migra al Partito Democratico. “Tra i democristiani!” – gli rimprovera la moglie. La divergenza di scelte politiche, ma non solo, provoca tra Giulia e Rinaldo un progressivo allontanamento.

I loro due figli Nilde ed Enrico (Silvia Salabella e Romano Fortuna)  sono l’emblema delle incertezze e degli equilibri precari, sempre più crescenti nelle famiglie italiane. Nilde, appassionata di pittura, riempie le pareti di casa di quadri multicolori che non riesce a vendere. Enrico, fidanzato con la figlia di un avvocato di grido, amante delle auto di grossa cilindrata, per le sue scelte politiche si trasforma da figlio amatissimo e ‘cocco di mamma’ a pietra dello scandalo.

Alì (Alfredo Calicchio), il loro domestico magrebino, laureato in filosofia, riveste, pur nella leggerezza del personaggio,  il ruolo di duplice io-narrante: ‘manifesto’ dei valori dimenticati e fiero, e cocciuto, gregario del nucleo familiare, il quale se ne avvale in un clima a volte falsamente democratico.

Tra piccanti specialità gastronomiche calabresi, l’arrivo della esplosiva zia Maria (una prorompente Maria Lauria) propone un altro “quadretto familiare” dai colori diversi, ma parimenti in crisi.

La commedia di D’Alessandro, unica pecca l’inizio un po’ lento, si gusta tra leggerezza e riflessione. Momenti di grande ilarità si alternano a commozione, come è nello stile dell’autore, sempre più apprezzato dal pubblico italiano anche per le sue notevoli capacità espressive: “imponente” presenza scenica, recitazione naturale, invidiabile vis comica.

“ E pensare che eravamo comunisti” è, sì, la ‘celebrazione del deteriorarsi’ della nostra società, ma con una apertura alla speranza che deve fondarsi sulla memoria delle origini per dare nuova linfa al futuro. Non un mero, nostalgico rimpianto di un passato capace di ‘lottare’ nelle strade e nelle piazze, ma la volontà di ‘ricordare’ gli ideali (come i sentimenti) che hanno segnato l’inizio di una personale storia politica e d’amore. “Apparirà chiaro come non si tratti di tracciare un trattino fra passato e futuro, bensì di realizzare i pensieri del passato.” – diremo con Marx – perché le sfide di sempre devono compiersi, non rimanere appese a una falsa memoria.

Il messaggio sembra quello di ripartire dal singolo, superando il disagio emotivo dell’incertezza sociale, senza aspettare il peggio, senza soccombere al collasso economico, o peggio “all’infarto” .

Gli attori bravi tutti e credibili. Accattivanti le performance di Cristina Fondi e Maria Luria, perfettamente calate nei rispettivi ruoli.

In scena, nell’ampio palcoscenico del Teatro dell’Angelo, anche le opere di alcuni validi pittori contemporanei (Massimiliano Bodon, Emanuele Moretti, Stefania Foresi) contestualizzate nella commedia come opere di Nilde, ma in realtà in mostra per essere acquistate dal pubblico interessato. Questa operazione di “arte nell’arte”, proposta dal regista anche nelle precedenti edizioni, merita un particolare plauso. Consacrato nella stessa cornice, il dialogo tra teatro e arte pittorica  – due linguaggi culturali di cui l’Italia è storicamente fiera – diventa emblema di una necessità di scambio solidale tra settori che oggi sono, entrambi, fortemente in crisi.

Un dialogo per superare “insieme” la crisi, dunque, sembra essere, anche in questa scelta, l’auspicio di Roberto D’Alessandro. Un dialogo ritrovato in seno alla famiglia, un dialogo tra etnie, un dialogo necessario alla politica italiana troppo ferma su sterili diatribe ideologiche in un momento storico che richiede azioni immediate e salvifiche in assoluta sinergia. Per dirla con Marx ed Engels “Si tratta di rivoluzionare il mondo esistente, di metter mano allo stato di cose incontrato e di trasformarlo”, ma insieme… proprio come accade (o dovrebbe accadere) in una famiglia.

Info e botteghino
Teatro Dell’Angelo
Via Simone de Sain Bon n.19

Tel 06.37513571 – 37514258
www.teatrodellangelo.it


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