Don Gallo e i “fili di ferro”

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Se pensi a persone come il prete con il baschetto, il prete partigiano che leggeva ogni fila al contrario e si sentiva primo solo se stava con gli ultimi, capisci che razza è quella degli uomini, e delle donne, “fili di ferro”. Lasciate perdere il materiale, forse è anche poco, meglio sarebbe parlare di acciaio. Penso a persone spesso minute, raccolte in sé, che illuminano quando guardano e fanno vedere agli altri dove mandare occhi, testa e soprattutto cuore. Io Don Gallo l’ho visto qualche volta, gli ho stretto appena la mano e poco più. Mi ricordava un altro prete, della mia infanzia, un piccolo pretino “filo di ferro” di campagna. La sua era una parrocchia dove non si faceva una bella vita, nella  provincia di Asti, la “campagna” di quei torinesi venuti da generazioni nella grande città che non perdono il gusto di tornare nell’aria buona, senza esagerare visto che lì c’è anche la tomba di famiglia. Si chiamava Don Lorenzo Franco, la guerra, la “grande guerra”, gli aveva regalato una mano destra senza le falangi delle due dita centrali: medio e anulare – colpa di una granata – erano volati via. Con quella mano fatta a corna ha benedetto migliaia di fedi nunziali e matrimoni che reggevano nel tempo. Quel pretino là, affatto famoso e sempre infagottato anche d’estate a riprendere calore dopo l’inverno passato a combattere con la sola stufa di due stanze dove viveva con la sorella perpetua, aveva un’anima di ferro che lo portava a sfidare fisicamente una bestemmia al dopolavoro. Non gliene fregava molto del suo metro e sessanta per poco più di cinquanta chili. Benedicendo le case si faceva trascinare in cantina dove si dedicava a personali transustanziazioni, ma senza perdere dignità e armamentario da lavoro: stola e acquasantiera. Testimone oculare mentre ero in vacanza in campagna, avrò avuto 10 anni al massimo e facevo il chierichetto, in una di quelle spedizioni l’ho sentito difendere con foga un noto mangiapreti dichiarato, bestemmiatore sopraffino. “Aveva valore e cuore da partigiano, laselu stè” (lasciatelo stare). L’ho visto mettersi contro legioni di “Figlie di Maria” pronte a lanciare una “fatwa” per una gonna un po’ corta e con la stessa lena seminare i pochi soldi della questua tra poveracci di passaggio, “gente nemmeno del paese”. Erano gli anni ’60, va detto.

Uomini e donne di ferro: hanno lo sguardo che va sempre “dopo” quello che vediamo noi. Non abbassano gli occhi perché già sanno quello che troveranno giù in basso e non vogliono sentire balle perché, solo per quelle, non hanno l’antidoto.

In questi giorni spero qualcuno riuscirà, uscendo dalle commozioni a comando, a restituirci semplicemente pochi semplici ricordi del prete col baschetto, di Don Andrea Gallo. La speranza è che piccole storie appuntite riescano a entrare anche di poco nella testa degli indifferenti di questo paese e facciano capire come solo un grande uomo di Fede possa permettersi di dire che conta l’amore e non il “genere” di chi lo sta vivendo e che tra gli ultimi non si distingue il colore della pelle: vale solo la dignità della vita. Spero il testimone non cada in terra, Don Andrea.

Firmato: un ammiratore dei “fili di ferro”.


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