“Rossi a Manhattan”, nuovo saggio di Eric Salerno, è un racconto coinvolgente del Novecento. A partire da un errore: essere comunisti a New York
di Fabio Isman
Negli Anni 50, a New York, 400 agenti Fbi indagavano sui «comunisti», e quattro sulla criminalità organizzata. Non dovevano essere Mandrake: redigendo due inchieste sul capo italiano del partito comunista americano, mobilitando suoi amici e tenendolo in osservazione dal parco davanti casa, non si erano accorti che sull’albero di Natale suo, della moglie Betty, ebrea russa che aveva visto la Rivoluzione e sfuggito terribili pogrom, e del loro figlioletto, svettava una stella rossa, mica cometa, accanto a falce e martello. Non avranno però bisogno di questo dettaglio per rispedirlo in Italia, dopo 28 anni di vita e attività negli Usa, dalla Calabria dove era nato. Inizia qui, dalla deportazione del 1950, Rossi a Manhattan (Il Saggiatore, 228 pagine, 16 euro) di Eric Salerno che conosciamo soprattutto per i reportage dal Medio Oriente su Il Messaggero. Il sottotitolo dice già molto: «Comunisti nel paese sbagliato, la mia famiglia». Sarà presentato giovedì, alla Feltrinelli di piazza Colonna a Roma.
Il progetto non è recente, ma Eric ha riscritto e ampliato un librino, uscito 12 anni fa da un piccolo editore, di cui Il Saggiatore ha voluto mantenere il titolo. Magari perché ha ottenuto il fascicolo del Fbi su suo padre, 122 pagine e non gli hanno addebitato i 14 dollari del francobollo nè le copie; è andato a Chojniki, remoto villaggio bielorusso in cui sua madre viveva e si salvò da un terribile pogrom; ha ricostruito le peripezie del padre anche dal casellario del ministero della Giustizia italiano (ha trovato scritto «da arrestare»; la parola «comunista» era più grande del nome); ha rintracciato dei parenti e i loro ricordi; c’era quando, a Castiglione Cosentino, a Michele – Mike hanno dedicato un luogo pubblico; e quando Betty, prima d’andarsene nel 2000, gli ha consegnato qualche memoria. Ha scoperto che la più grande chitarrista americana (ha suonato per il Natale di Obama) è sua cugina; e da piccolo, ha giocato con la futura fidanzata di Bob Dylan. Da luoghi e tempi tanto disparati, nasce perfino una sorta di affresco del «secolo breve», con tutti i maggiori episodi che l’hanno percorso, e Micke e Betty vissuto; fino al Medio Oriente, perché lei ha voluto conoscere Israele.
In queste pagine si incontrano anche Vittorio Vidali; Sacco e Vanzetti; Giuseppe Berti e Ambrogio Donini, che nel nome dell’ortodossia, imposero quattro anni di silenzio a Mike (pseudonimo Tito Nunzio), direttore del foglio comunista in America degli italiani. Mike, tornato Michele, diverrà poi vicedirettore di Paese Sera; resterà nonostante tante sue critiche all’invasione in Ungheria, ma (il «secolo breve») non vedrà il crollo del Muro. Un fratello di Betty, strenuo difensore di Leningrado, si metterà i galloni di generale; ebreo, Stalin lo epurerà; e sarà poi riabilitato: Eric ha incontrato addirittura lui.
I suoi, e un po’ di autobografia. Per evitare il Vietnam, rinuncerà al passaporto americano; e, lavorava già a Paese Sera, lo muterà con un visto. Quando da 10 anni era ormai a Il Messaggero, glielo negheranno per i suoi trascorsi: non quelli di famiglia; chiedevano la riabilitazione. Di Mike resta il volto in Mani sulle città, film di Rosi che era un suo amico; ora è ad Anticoli Corrado. A rileggerle, le sue avventure non sembrano neppur reali. Ma era solo ieri.