Più che la conferma della condanna in Appello, a Milano, di Silvio Berlusconi per frode fiscale sui diritti televisivi Mediaset (fatti avvenuti nella seconda metà degli anni Novanta!), questa sentenza conferma che sono i conflitti d’interessi tra il Cavaliere politico e il Cavaliere imprenditore a segnare il corso della storia negli ultimi 20 anni del nostro paese. Certo, dal punto di vista giudiziario Berlusconi potrà sperare nella Cassazione (ora presieduta da un giudice ritenuto benvoluto dalla sua cerchia) e nella Corte Costituzionale, sulla quale aleggia un clima di “pacificazione” quirinalesco. Nell’attesa potrebbe incorrere in un giudizio di ineleggibilità da parte del Senato, come vorrebbero il Movimento5Stelle, SEL e alcuni settori del PD. Ma nella speciale commissione i numeri potrebbero non esserci e quindi tutto rimarrebbe in sospeso, in attesa dei verdetti ultimativi delle due Corti.
Nonostante i lamenti e le grida manzoniane dei suoi fedeli parlamentari ed esegeti mediatici, Berlusconi in realtà non ha nessuna intenzione, almeno per il momento, di staccare la spina a questo governo di “larghe intese” né di far precipitare la situazione politica. Da una parte, la ritrovata calma politico-istituzionale sta facendo abbassare lo spread sui mercati (il che significa meno interessi da pagare sui debiti, piuttosto pesanti per le sue imprese) e favorisce il rialzo dei suoi titoli in Borsa; dall’altra, quasi tutti i media stanno promuovendo un’immagine del Mago di Arcore da statista, forzando gli eventi e la mano del Quirinale affinché venga nominato senatore a vita e così in pratica improcessabile. Secondo gli ultimi sondaggi, inoltre, anche i suoi elettori, stanchi di 5 anni di recessione e timorosi di una nuova stagione conflittuale, vorrebbero un periodo di governabilità sicura, in grado di far ripartire il volano dell’economia, magari attuare qualche riforma come quella elettorale e tagliare l’imposizione fiscale, a partire dall’IMU.
Ma è la “Roba” che sta a cuore al Cavaliere: il suo inestricabile conflitto d’interessi, che spazia dai media, alla pubblicità, al cinema, alla finanza-assicurazione, all’energia (attraverso terzi). Sarà stata una coincidenza, ma in questi ultimi due giorni, alcuni apprezzati analisti dei conti della “galassia berlusconiana”, hanno tolto il velo al’impudico patto di non belligeranza tra Berlusconi e il governo. E così si scopre che Mediaset e Mediolanum, i due gioielli di famiglia, nel giro di soli 6 mesi, sono ritornati ai livelli di valore del 2011. Altro che la crisi depressiva che morde il tenore di vita di milioni di famiglie italiane! Da quando il Cavaliere è “ridisceso in campo” nella campagna elettorale, i suoi titoli hanno iniziato a volare, come le sue percentuali nei sondaggi demoscopici.
Mentre la Borsaitaliana, sulla scia di quelle mondiali, ritorna in positivo, ai guadagni antecedenti la crisi del 2008, negli ultimi sei mesi i due titoli legati a Berlusconi addirittura fanno balzi da gigante: 100% in più Mediaset. Come riporta Ettore Livini su Repubblica: “La ritrovata (e insperata) centralità politica del Cavaliere ha messo le ali dal voto di fine febbraio ai titoli delle sue aziende quotate in Borsa. Mediaset e Mediolanum sono balzate rispettivamente del 32 e del 30% (contro il +8% dell’indice Mibtel) regalando al leader del centrodestra in poco più di un mese un guadagno virtuale di 570 milioni di euro. Il valore delle sue partecipazioni nelle due società è lievitato da 1,8 a 2,37 miliardi…Dal giorno dell’insediamento del nuovo esecutivo, il patrimonio della Fininvest a Piazza Affari è salito di 220 milioni, garantendo all’ex premier un assegno di 22 milioni al giorno… A beneficiare del clima positivo è stata pure Mediolanum, ormai da qualche mese la partecipazione di maggior valore nel portafoglio di Silvio Berlusconi (il suo 35% nell’azienda di Doris vale 1,38 miliardi contro il miliardo del 40% delle tv). Il titolo della banca viaggia oggi a 5,3 euro, il suo massimo dal 2008” . E questo nonostante Mediaset abbia chiuso per la prima volta i conti del2012 in rosso con una perdita di 287 milioni e le azioni fossero scese al minimo storico dal1995 a 1,1 euro,per poi risalire oltre gli attuali 2 euro.
Quello dei conflitti di interessi è dunque un calice che contiene una bevanda dall’ambiguo gusto, agrodolce. Berlusconi e la politica italiana dipendono dagli andamenti delle aziende quotate e dalle bizzarrie degli investitori, più che dalle scelte di strategia economica o dalle differenti visioni strategiche tra centrodestra e di centrosinistra. Come spiega Simone Filippetti sul Sole 24 ore: “Debito più politica rendono oggi Mediaset una sorta di derivato sulla tenuta dell’Italia… Per due motivi: le società con un debito consistente (1,7 miliardi quello di Mediaset a fine anno) hanno una forte correlazione con lo spread. Quando sale, quei titoli scendono (perché aumentano gli oneri finanziari) e viceversa. Con il differenziale Italia-Germania in discesa su livelli più sopportabili, chi ha debito, è più alleggerito. C’è poi l’elemento politico: un anno fa l’ex premier Silvio Berlusconi sembrava fuori dai giochi. Oggi è tornato al centro della scena e il Governissimo delle larghe intese da una parte rassicura le cancellerie europee, dall’altra lascia presagire che non ci saranno interventi legislativi “punitivi”. La questione, semmai, è capire se davvero Mediaset vale quel prezzo. Perché l’industria editoriale vive la crisi più terribile dal Dopoguerra e vedere nel frattempo un titolo media salire all’impazzata appare contraddittorio”.
Di conflitto di interessi, insomma, il nostro paese potrebbe davvero morire, se non si pone rimedio con una legislazione severa, come avviene negli altri paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti, e se non si modificano le norme Antitrust e sulle nomine delle Autorità di controllo. Sono queste le vere riforme di cui il paese ha bisogno, anche perché una volta avviate si libereranno le forze sane dell’imprenditoria, si tutelerà la libera concorrenza e si sbloccheranno gli investimenti per far ripartire anche l’occupazione. Sempre che le forze politiche che hanno dato vita al governo delle “larghe intese” non si facciano ancora irretire dalle bevande dal gusto ambiguo che il Cavaliere propina loro. Confessava ad alcuni top manager dell’IRI, durante una cena di lavoro, alla fine del 1998, l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Enrico Micheli, stretto collaboratore di Romano Prodi già ai tempi della sua presidenza all’IRI: “Da alcune fonti riservate abbiamo saputo che Berlusconi può contare ogni anno su circa un miliardo di euro a titolo personale, in grado di essere impiegato a suo piacimento per influenzare settori della politica in Parlamento e modificare maggioranze o anche nel mondo degli affari. E poi, oggi, per vincere le elezioni bastano pochi voti di scarto”.
Un giorno qualche storico riuscirà forse a spiegare perché Prodi, da capo del governo, non sia mai riuscito a promulgare due leggi, cui teneva molto, come la riforma del sistema radiotelevisivo per rompere il duopolio RAISET e quella sul conflitto di interessi, e poi sia stato “impallinato” nelle elezioni per la presidenza della Repubblica!