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Adrian Paci. Dialogo errante con la vita

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Vivere nell’incertezza può significare anche riuscire a cogliere quei frammenti luminosi che spuntano tra la polvere delle macerie, comprendere il valore profondo dello scambio e del confronto, costruire identità nuove, reinventando linguaggi e colmando fratture emotive. C’è tutta la tensione etica dell’artista che, attraverso i luoghi vitali delle radici, risale le vie delle discordanze e delle mescolanze per cogliere le esigenze di alterità e il desiderio di comunità delle esistenze contemporanee in Adrian Paci. “Ogni opera d’arte è un organismo vitale che va verso lo spettatore, in cui tutti possono trovare delle risposte. Nella semplicità delle cose vedo una pluralità di letture e significati diversi. Non ho la chiave di lettura del mio lavoro che secondo me deve rimanere aperto”. Così spiega se stesso il sensibile narratore di storie costruite in libertà di immaginazione e di sperimentazione, che unisce in una semantica composita le sue creazioni: pitture, sculture, video, installazioni e foto. Le contaminazioni di Paci trasformano cronache ordinarie in liriche collettive; così che i conflitti e le meraviglie, i dolori e le consolazioni, si ricompongono su più livelli, riannodano le trame perdute e i fili spezzati di un possibile Tempo comune ritrovato.

Arrivato esule da Shkodra (Albania) a Milano nel 1997, e ora consacrato a Parigi con la mostra antologica “Vies inTransit” al Jeu de Paume, curata da Marta Gili e Marie Fraser (in calendario al museo di Arte contemporanea di Montreal e al PAC di Milano in autunno), Paci dissolve la sua arte in bilico fra armonia e contrapposizione, per disegnare uno spazio ideale, popolato di duplicità e di metafore, lasciando che le assenze possano colmarsi di presenze. Una vita in transito che fissa con poesia la quotidianità come riflessa in uno specchio. Un gioco sovrapposto di finzioni, antitesi e somiglianze che attendono di assumere forme. ”La verità non è mai nella stabilità”, è il “passaggio” che si schiude al divenire, che lascia entrare intuizioni, folgorazioni, così da donare all’arte freschezza e suggerire il filtro della mediazione possibile. L’artista è un costruttore di sogni e di materia, un osservatore privilegiato che avverte la necessità “di far vedere e di condividere”. Non c’è provocazione nell’arte di Paci, ma riflessione, un riverbero di luci e di penombra, un dettaglio per ricomporre un insieme, per rappresentare il carattere transitorio dell’esistenza  e la sua capacità di modularsi ai cambiamenti imposti dalla Storia, recuperando simboli e gesti antichi, universali, che mantengono intatto il loro significato nella contemporaneità.

“The Encouter” ci introduce nel suo universo. Nel video girato nel paesino di Scicli, i palazzi decadenti e la chiesa barocca di San Bartolomeo fanno da cornice alla ritualità di una stretta di mano fra l’artista e centinaia di persone: una ritmica processione per sigillare con la gestualità laica una testimonianza spirituale. Quel tratto geografico di terra siciliana immersa in una quiete metafisica sul Mediterraneo, crocevia di stratificazioni culturali, segna l’inizio di un viaggio, che raccoglie segmenti preziosi del passato per rivoluzionare l’equilibrio del presente. Il cammino dell’esule è carico di affanni.

In “Home To Go” il tetto rovesciato di una casa grava sulle sue spalle curve e si configura come un gioco di ribaltamenti, dove le apparenze mutano: i mattoni perdono di pesantezza e acquisiscono la leggerezza delle ali. La lontananza genera nostalgia e distanza, dove ripensare appartenenze, riconoscere scissioni interiori e fragilità. “Io sono un pittore che faccio video”, dice Paci e in “The Last Gestures” la formazione accademica conseguita in Albania emerge nei contrasti di chiaroscuro, nell’intensità dei primi piani, nei ritratti a tinte decise.

Il matrimonio tradizionale albanese, proiettato su 4 monitor, mette a nudo emozioni contrastanti: dolore per l’abbandono della casa paterna, festosità per l’evento. Ma è il viso assente della sposa a fornirci una chiave di lettura e a richiamare l’attenzione sugli elementi estranei. I volti anonimi dei viandanti verso l’ignoto sulla scaletta di un aereo fantasma in “Centro di Permanenza Temporanea” evocano la sospensione atemporale di un’attesa che si apre ad una speranza o si chiude in una dannazione. Un’allusione al rapporto con le radici che non riguardano solo la situazione del migrante, ma anche la visione complessa dell’esistenza in cui “storie e geografie assumono lo status di condizioni relative, il paesaggio nel quale navighiamo nel profondo è un paesaggio dell’anima più che un territorio vero e proprio”. Ma se le esperienze personali si riflettono nelle opere di Paci, non è certo per sovrapporre il momento privato con ciò che è altro da sé, ma è per esaltare la complessità e la vitalità dell’arte che deve saper “parlare del mondo” e delle sue trasformazioni. Anche una colonna neoclassica di marmo può allora raccontare il processo di globalizzazione del lavoro e dello sfruttamento degli uomini. In “Column” (video coprodotto dal museo del Jeu de Paume), il blocco di marmo nasce da una cava cinese, viene trasportato e lavorato da mani esperte di artigiani su una nave fabbrica che dall’Oriente arriva in Occidente per essere esposta nei giardini de Les Tuileries.

E’ un’icona del mistero della morte “Vajtojca”: lamento funebre della prefica al capezzale dell’artista, che poi si sveglierà dal lungo sonno, declina la sequenza del surreale cammino nell’ignoto. La vita non è una trama semplice, sembra dirci Paci. Fra le incognite e le concretezze, sono tanti i fili spezzati da raccogliere e i riferimenti ideali.

La poetica di Pasolini è una suggestione sempre presente. E’ la vitalità del linguaggio del raffinato filologo che sminuzzava le stratificazioni della realtà e le sue asprezze per elevarle a profetiche liriche, ad incantarlo. ”L’incontro con Pasolini è stato intenso. Ho sempre guardato i suoi film con l’occhio del pittore, considerandoli come materia prima da cui partire per poi fare il mio intervento”. Ed è la pittura fluida, velata, a tinte smorzate che unisce il ritmo lento del particolare alla leggerezza delle sfumature a rilevarci Paci “Secondo Pasolini”. E’ Il trittico “Decameron”, “Mille e una Notte” e “Canterbury” a riservarci silenziose emozioni; a suggellare un incontro mai avvenuto, che la comune sensibilità ha reso possibile.


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