La Repubblica e Il Corriere della Sera aprono con le dimissioni del Consiglio d’Amministrazione dell’Ilva. “Disastro senza precedenti”, “Caos: 40mila a rischio”. Non comprendo perché a pagare per il “caos” debbano essere sempre quelli che il “disastro” l’hanno subito. Gli operai, gli abitanti del rione Tamburo, le ragazze e i ragazzi di Taranto. Nazionalizziamo la fabbrica, recuperiamo i 7 – 8 miliardi che i padroni hanno nascosto, mentre il governo Monti cercava di aiutarli, usiamo come deterrente l’arma del carcere contro i Riva, chi li ha sostenuti, chi si è fatto pagare per tacere.
Eccolo il manettaro (sarei io), ecco il fanatico (sempre io) che, in nome dell’odio di classe, si mette sotto le scarpe ogni garanzia dello Stato di Diritto! Ragazzi, un po’ di decenza. Siamo il paese dove in carcere si torturano, fino al suicidio, immigrati e tossico-dipendenti, quello che non toglie dal carcere duro un boss e feroce assassino ridotto ormai un vegetale, che quando si trattò delle Brigate Rosse seppe utilizzare in modo eccezionale le leggi vigenti. Forse mi sto sbagliando, me lo spiegheranno, farò ammenda. Ma un titolo come “Padroni della vergogna” lo avrei letto volentieri su Corriere o Repubblica.
Due preti, don Gallo e don Puglisi. Il secondo fatto “beato” tra i canti di una grande folla a Palermo, vent’anni dopo quel colpo alla nuca dei killer di mafia. Don Pino fu ucciso nel 93, in piena “trattativa”. Fra i mandanti, i fratelli Graviano, che la sanno lunga sulla trattativa e sulla bomba ai Georgofili. In loro favore si è operato un lungo depistaggio per nascondere gli autori materiali della strage di via D’Amelio, quella che chiuse la bocca di Paolo Borsellino. Don Puglisi predicava contro la mafia nel quartiere mafioso di Brancaccio, e predicava ancora, quando i boss si aspettavano silenzio e quiete dopo aver fatto “scruscio” con le bombe e aver fatto arrivare il messaggio a chi doveva intendere. “Zitto ora, pidocchio”. Chi lo ha ammazzato? Una “rapina” finita male, o un “padre” che difendeva “l’onore” di una figlia. La mafia è calunnia, prima che sangue. Ma don Pino sorrise a chi lo stava ammazzando. Un sorriso che – ora lo sappiamo – ha colpito al cuore due “bestie” di mafia (ma l’uomo è spesso una bestia) Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza. Si sono convertiti più per l’angoscia che quel sorriso causava, che per l’urlo, “convertitevi”, del papa polacco. E hanno “parlato”.
Al suo funerale don Gallo ha avuto il “santo” e il “sacro”. L’uomo dei paramenti e dell’ortodossia, sua eccellenza il cardinal Bagnasco, accanto a don Ciotti, che tutti i giorni dà voce alle vittime di mafia e delle stragi. Gli sarebbe piaciuto? Credo di sì. La chiesa la vedeva così, don Andrea. Potere ma anche testimonianza di fede. Ciotti e Bagnasco, concelebranti. C’erano compagni partigiani e trans, al funerale. Le bocca di rosa dell’amico Fabrizio, i senza dimora di Genova. Scandalo! Hanno cantato “bella ciao”, hanno interrotto “sua eccellenza”, che è stato soccorso dalla segretaria e amica di Andrea Gallo e ha dato l’ostia sacra alla trans. “Genova con don Gallo contesta Bagnasco”, titola il Fatto. “Il pollaio di don Gallo….funerale incivile, comizio di fanatici”, Il Giornale non la manda giù. Il Giornale che, dopo la condanna al direttore di Panorama Mulè, chiede oggi l’abolizione del carcere per chi diffama con dolo. E Feltri azzarda un consiglio ai giudici: mandate dentro una penna rossa e la nuova legge si farà. No, caro Vittorio, sono stati i tuoi amici del Popolo della Libertà ad affossare la legge, quando fu di Sallusti. Più che l’amicizia, contò il bisogno di proteggersi e l’orrore per la libertà di stampa.
Si vota a Roma e in molte altre città. Ieri i giornali segnalavano quanto fossero stati pochi i Romani accorsi al Colosseo e in piazza San Giovanni per Alemanno e Marino. Oggi si interrogano su quali conseguenze possa avere il voto sul Governo. Signori, è il prestigio del sindaco che traballa. Per anni è stato l’unico volto delle istituzioni al quale si guardasse con rispetto. Il patto di stabilità, i tagli, il rischio di una condanna (non per aver rubato, ma solo tentato di smuovere burocrazia e regole), la crisi, se volete, ha coperto di polvere anche il blasone del sindaco. Ecco il punto. Ridiamo al primo cittadino un po’ di potere e qualche soldo da spendere. Finiamola con quella pletora di liste che lo sostengono (che, per vincere, devi metterci tutto e il contrario), diamogli la possibilità di dialogare con chi lo ha eletto, nei caffè e in rete. Avremo aiutato la democrazia più che non regolando i partiti.
Già, “Finanziamento ai partiti. “Il rischio che esca dalla porta per rientrare doppio dalla finestra”. Se n’è accorto Giannelli, con la sua vignetta sul Corriere. E forse anche Letta che oggi, invece di fare il pompiere in Parlamento, avverte i partner europei: “più lavoro ai giovani o cresce la ribellione”. Non so se cresca la ribellione. Certo l’indifferenza, il fastidio e la distanza dalla politica. Né basta gridare: “lavoro”! L’Istat ha calcolato che per lo stesso lavoro un precario prende un quarto di meno del dipendente. Semmai dovrebbe accadere il contrario. Chi resta precario guadagni un po’ meglio. Invece il lavoro a tempo e meno garantito serve per abbattere i costi del padrone e avvertire i dipendenti: “non sgarrate”. È il capitalismo, bellezza.