Una casa, ma anche solo un caffè, per giornalisti di buona volontà…

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Affettuoso abbraccio a voi colleghi italiani, bentornati dal “fermo siriano”! A voi che stavate là per documentare tra filmati, interviste, appunti realizzati spesso in affannosa corsa da adrenalina a mille, pronti a rifugiarvi al coperto per non essere ammazzati, incarcerati, rapiti, vessati psicologicamente, al solo fine di trasmettere all’occidentale Italia cos’altro accade oltre i suoi confini: un tutto assorbito sulla vostra pelle, mica su giubbotti antiproiettile molto trend per imdigeni colleghi che, previo trucco&parrucco, sono usi a uscire da hotel semilusso messi loro a disposizione da testate vip che sbancano share con quella diretta lì…

Mi piace pensare alla vostra liberazione proprio nel giorno in cui Torino, la mia città, ospitava nella sede del suo Ordine dei Giornalisti (sempre disponibile e attento, ma in modo particolare per tutto ciò che riguarda il sociale degli ultimi) la “Maison des Journalistes”, organizzazione parigina presieduta da Carline Cothière, che dal 2002 s’è prefissa lo scopo, raggiungendolo,  di fornire rifugio, ma soprattutto restituire “l’onor del mondo” a centinaia di giornalisti costretti a fuggire dal loro Paese per causa di quel mestiere. Grazie alla sensibilità della collega Rosita Ferrato che ha trovato il modo per sintonizzarsi con l’organizzazione parigina fondando il “Caffè dei Giornalisti”, una “maison” a suo dire per ora piccina rispetto a quella parigina, ma grandissima quanto ad appassionato obiettivo: portare oltre il confine francese, da sempre apripista nel focalizzare carenze negli umani diritti, durissima realtà di tutti quelli che in quanto giornalisti, ma non solo, lottano contro un sistema che come principale scopo ha l’imprigionare, in più forme, la libertà di stampa, di pensiero e di parola. I tre testimoni presenti a Torino (Jean Claude Mbede, giornalista del Camerun, Nart Abdulkareem giornalista siriano, Karim Rahamani giornalista iraniano) riusciti a scappare dalle loro Terre, tra mille pericoli e milioni d’incognite, ci hanno raccontato storie raccapriccianti (omicidi, reclusioni, torture, vessazioni psicologiche) per quanto concerne “la press” non al soldo del regime di Stato.

Trattasi del ben noto “male non fare, paura non avere” che da noi è, non solo per quanto a libertà di stampa, già ampiamente (ri)conosciuto per consolidato monito mafioso. Per tutto il resto del pianeta, mafioso e no, s’ha da intendere in un solo modo: tutto ciò che è inviso al potere (o regime) di governo è da considerarsi male senza se e senza ma.

Il nostro europeo Paese, quanto a statistica mondiale per la libertà di stampa, si piazza al 57° (ignobile numero se rapportato ai primi tre posti dell’europee Finlandia, Olanda e Norvegia) posto, dopo Botswana e Niger. A voi, gente di buona volontà, trarre spunti di riflessione…


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