La situazione in Siria è talmente complessa, oltre che molto dolorosa, che è difficile seguire l’evoluzione di quella che ormai è diventata una guerra civile. E che sfugge dai meccanismi che hanno accompagnato la cosiddetta “primavera araba”. La rivoluzione siriana è qualcosa di più e di diverso. Non ci sono soltanto due “fazioni” contrapposte ma esiste un’intera galassia di gruppi utilissimi alla “causa” ma che creano indubbiamente confusione. A tal punto che anche in Italia si sta sviluppando una feroce diatriba fra le varie componenti che in qualche maniera rappresentano gli attivisti. Continuiamo a rispettare la richiesta di silenzio stampa per Amedeo Ricucci e i suoi tre coraggiosi compagni viaggio (i freelance Elio Colavolpe, Andrea Vignali e l’italo-siriana Susan Dabous). Non crediamo di infrangere niente dicendo che a questo punto la situazione si è fatta più seria, in una zona oltretutto maledetta per i giornalisti. Eviteremo dettagli e ipotesi, ma è evidente ormai che non si tratta di un “fermo” ma di un rapimento vero e proprio. I quattro giornalisti italiani sono stati bloccati da un gruppo di ribelli giovedì scorso. Chi ha contatti in zona ha sempre insistito sul semplice controllo dei documenti dopo che erano stati ripresi impropriamente obiettivi militari. Sostenendo di avere addirittura raggiunto telefonicamente i fermati si indicava in quarantotto ore la soluzione della vicenda. Non regge più, anche se capisco che la smentita di un sequestro giova alla “causa”. Usciamo almeno dall’equivoco: ormai è passata quasi una settimana esatta e ancora non s’intravede la via d’uscita. Qualcosa evidentemente è andato storto, o si è complicato. Non azzardiamo idee, non facciamo nomi né di gruppi né di luoghi: sarebbe pericoloso, registriamo soltanto dei fatti. Certamente questo fragoroso silenzio in qualche maniera imposto comincia ad essere pesante. Magari si risolverà tutto fra poche ore o fra pochi minuti (ce lo auguriamo fortemente), ma quel che ci preme adesso è di far giungere idealmente ad Amedeo e agli altri della troupe il senso della nostra vicinanza. Insomma, non intralciamo il corso di quella che ormai evidentemente è una trattativa, ma sia chiara una cosa: stiamo zitti, ma non vi dimentichiamo. Ci siamo, vicini.