Cari amici di Articolo 21, da qualche giorno siano in trepidazione per la sorte di quattro colleghi della Rai fermati in Siria da un gruppo armato mentre erano impegnati in un lavoro autenticamente professionale di testimoni di verità in un’area colpita dai drammi di una guerra e della violenza. Credo sia chiaro ora ai sequestratori che non parte della guerra, né espressioni di fini oscuri. Gli uomini delle istituzioni e della cooperazione civile stanno prodigandosi per la loro liberazione al più presto. Sono ore di trepidazione fiduciosa attesa. Sono ore di massima responsabilità per i giornalisti e i media. La richiesta di cautela, che arriva dall’Unità di crisi della Farnesina e anche di silenzio stampa che giunta dalla Rai e da famigliari va accolta, come contributo alla libertà dei nostri connazionali. Può bastare una parola incompresa per complicate in queste ore le operazioni in corso per ottenerne il rilascio. Condivido in pieno quanto affermato dai portavoce di Artoicolo21, Giuseppe Giulietti e Federico Orlando; un silenzio, motivato da una ragione di civiltà e di essenzialità. Nessun silenzio sulle guerre e soprattutto luce e notizie sulle guerre dimenticate.
In un momento molto delicato come questo. nel rispetto delle autonomie di scelta professionali, il silenzio stampa richiesto merita accoglienza e condivisione.
La Fnsi ha confermato e rinnovato una cooperazione alla causa della liberazione dei colleghi con l’Unità di Crisi della Farnesina. Il silenzio stampa è un’eccezione speciale, perché nessun elemento esterno, attribuibile a informazioni precipitate e indefinite, possa essere pretesto per un loro fermo prolungato da parte di gruppi armati.
Un silenzio stampa breve, quindi, per far risaltare la figura esclusiva di giornalisti dei nostri colleghi, testimoni preziosi, con il loro lavoro, per la libertà delle genti, con la ricerca di fonti genuine per un’informazione non intossicata da alcuno.
La vicenda dei quattro colleghi bloccati in Siria dev’essere – con il silenzio motivato di queste ore – un motivo di più perché su nessuna guerra (e sono tante quelle dimenticate) cada il silenzio e perché si estenda la riflessione sul lavoro dei cronisti testimoni e, tra essi, dei tanti pecari in prima linea per intima scelta personale e, sempre più spesso, per procurasi un lavoro altrimenti negato”