Toto premier sui giornali: “Si va verso Amato”, La Stampa. “Amato è avanti, Letta in corsa” scrive il Corriere della Sera. Ma c’è un dettaglio che, francamente, non mi sorprende. La Repubblica: “Berlusconi boccia Renzi premier”, Il Fatto: “Renzi bruciato. A lui l’ha rovinato Silvio”. Perché me l’aspettavo? Perché Berlusconi vuole restare il deus ex machina del futuro governo. Intestarsene i meriti, quando il governo riuscisse a far qualcosa per l’emergenza lavoro o a modificare l’ottuso rigorismo dell’Europa. Bacchettarlo strizzando l’occhio all’elettore, quando annaspasse nella difficoltà delle riforme o nell’impopolarità delle scelte. Perciò Renzi a Palazzo Chigi sarebbe stato ingombrante. Il Pd che si consegna alle “intese” quasi con vergogna, è quel che più gli conviene.
Ma ieri si è tenuta la Direzione del Pd. Il segretario dimissionario ha parlato di rischio anarchia, molti editorialisti (fra gli altri Paolo Mieli, ieri a Ballarò) se la prendono con chi “non ha seguito la linea”. Mi tocca,dunque, ricostruire quel che è successo.
Dal voto escono tre blocchi di uguale peso, con la maggioranza assoluta di deputati al Pd (grazie al “porcellum”) ma uno “stallo messicano” al Senato. Eppure Bersani irride ancora all’ipotesi di intese con il PDL: “al governo con Brunetta e Gasparri?”. Prova dunque a convincere Grillo a dargli la fiducia e Napolitano a dargli l’incarico.
Napolitano lo fa girare a vuoto, pretende una maggioranza “certa”, cioè precostituita da un accordo tra i partiti. In chiaro, vuole che nasca un governo Pd – PDL – Lista civica, senza il Movimento 5 Stelle. Ad Agorà dico che il Presidente sta sbagliando ed è sua la responsabilità della perdita di tempo. “Non è la linea del Pd. Punto” replica Enrico Letta. Tonini mi definisce “penoso”. Intanto l’opinione si convince che sia Bersani a tenere il paese in ostaggio. Poi la commissione dei “saggi”, l’inversione dell’ordine del giorno, prima il presidente poi il governo.
Ai Grandi Elettori, Bersani e Letta spiegano quello che è ovvio: “Il Presidente rappresenta l’unità della nazione”, “Il Pd vorrebbe eleggerlo alla prima votazione, con i due terzi dei consensi”, “Spetta a noi l’onere della proposta, discuteremo con tutti di una nostra rosa di nomi”. Poi scompaiono. Nessun confronto ulteriore nei gruppi parlamentari. Veniamo consultati in confessionale: nessuno sa cosa abbia detto l’altro, né quale sia stato l’orientamento prevalente.
Intanto succedono due cose. Berlusconi spara bordate di fuoco contro Prodi (“se fosse lui, tutti all’estero”) e affossa Mattarella (perché oltre venti anni prima era insorto contro la legge che istituiva il duopolio televisivo). Insomma, esercita con arroganza un potere di veto. Intanto Grillo, cambia linea e candida Stefano Rodotà, uomo della sinistra che io e molti altri chiedevamo da tempo che fosse inserito nella “nostra” rosa.
Così, quando Bersani si presenta il 17 sera con la proposta Marini (e mentre Berlusconi canta vittoria) molti di noi pensano che il segretario sia stato posto sotto tutela dal Pd delle correnti, che ora ci si voglia vendicare di Grillo e della Lombardi, che la linea sia cambiata (senza il coraggio di dirlo) e che ora si punti proprio a quel governo “con Brunetta e Gasparri”. In modo educato ma fermo dicono no a quella prospettiva Tocci, Vendola, due o tre Grandi Elettori vicini a Renzi, Orfini, Mineo, la portavoce di Prodi. A favore, Epifani, Fassina, Franceschini. Poiché i dibattiti si pesano, Bersani avrebbe dovuto prendere atto di essere stato contestato da una base larga e lasciato solo dai capi corrente. Invece no. Rinuncia alla replica mentre Zanda chiede di votare se si debba votare (160 sì, 130 no) e poi mette ai voti la proposta (90 contrari e una trentina di astenuti). L’indomani mancano a Marini più di 200 voti. Mentre nei circoli e sul web tutti chiedono: perché no Rodotà?
La mattina del 19 Bersani spiega che è cambiato il contesto. Scheda bianca alla terza votazione, Prodi alla quarta, quando bastano la metà più uno dei voti. Tutti in piedi ad applaudire. Si alzano le mani, unanimità. Ma mentre io e tanti ci impegniamo per Prodi prendendoci gli insulti di tanti elettori che non capiscono il silenzio su Rodotà, una parte del Pd delle correnti, ex sinistra Dc, ex Ds, decide di consumare la sua vendetta su Bersani, contro le primarie e la coalizione “Italia bene comune” , contro la follia di un governo per il cambiamento. In 101 affondano Prodi per dire sì al governo con Berlusconi e un no finale e sprezzante a chi continua a chiedere perché non si possa votare Rodotà.
Infine, tutti a pregare Napolitano che accetta un secondo mandato, naturalmente alle sue condizioni. L’aveva detto commemorando Chiaromonte: larghe intese, con Berlusconi. Solo tra i Grandi Elettori voto no. Trovo, infatti, grottesco e pericoloso che si continui a dire “la scelta per il Quirinale non implica quella per palazzo Chigi”. Ma sì che l’avrebbe condizionata, come è stato poi evidente, ascoltando Napolitano dopo il giuramento
E ora? Si apra almeno un dibattito, ampio, senza steccati. Abbiamo dato pessima prova, perché? Perché per anni il Pd è rimasto paralizzato e subalterno? Perché non ha funzionato l’apertura di Bersani? Quale ruolo immaginiamo per Renzi, Barca e Rodotà, che è un uomo della sinistra? Vendola lo vogliamo fuori? Cofferati e Landini? Fuori, perché disturbano il manovratore? E con Grillo che facciamo, se ne occupa la polizia?