Cauto entusiasmo in Birmania per l’uscita di quattro nuovi quotidiani. In totale a seguito della decisione del Presidente della Repubblica Thein Sein, ne sono stati autorizzati 16, tra cui il quotidiano dell’NLD, il partito di Aung San Suu Kyi, che uscirà a fine aprile. Finalmente dopo 50 anni un grande cambiamento che si spera sia stabile e rafforzato da altre norme sulla stessa linea. Sì, sono passati 50 anni, da quando il generale Ne Win aveva nazionalizzato i giornali, imposto la censura ed una serie di leggi draconiane che hanno dato il via alla lunga dittatura militare in quello che era stato il paese più avanzato dell’Asia e che di colpo è entrato a far parte della lista dei paesi meno avanzati. Cinquanta anni segnati dalla violenza del regime militare, dal conflitto etnico, dall’uso del lavoro forzato, degli stupri e degli arresti arbitrari come arma per la sottomissione di un intero popolo. Anni in cui la corruzione, la repressione e lo strapotere militare hanno tenuto sotto torchio il paese. Molte cose sono cambiate dalla nascita del governo quasi civile. La maggior parte dei prigionieri politici è stata rilasciata, così come 12 giornalisti. Alcune leggi importanti come quella sulla libertà sindacale hanno potuto vedere la luce, e soprattutto nelle grandi città si respira un’aria di quasi libertà e l’uscita dei nuovi quotidiani rappresenta sicuramente una novità eccitante, soprattutto per le nuove generazioni che non hanno mai potuto assaporare il bello della libertà di stampa e della presenza di testate giornalistiche private che potrebbero eviare di raccontare le noiosissime parate militari . Già lo scorso agosto il governo aveva approvato la fine della censura preventiva sulla pubblicazione di giornali facendo salire la Birmania nell’indice internazionale sulla libertà di stampa dal 179° al 151 posto. Ma il governo attraverso la Press Scrutiny and Registration Division ha comunque mantenuto un monitoraggio sui media: da un lato meno restrizioni per gli editori, e dall’altro maggiore responsabilità ed attenzione a non pubblicare notizie sgradite. A marzo, il giornale “the Voice” ha perso una causa penale contro il Ministro delle Miniere per aver pubblicato contro ministero accuse di corruzione per appropriazione indebita. Nello stesso periodo il Ministero delle costruzioni aveva denunciato una giornalista del Modern Weekly news che aveva scritto un articolo molto critico sulle pessime condizioni di una strada tra Mandalay e Thabeikkyin. Attacchi informatici ai siti giornalistici e alle mailbox dei giornalisti fanno supporre che vi siano tentativi di minare la libertà di stampa. A tutt’oggi le leggi sulla diffamazione prevedono la punibilità con il carcere fino a 2 anni per i giornalisti e quelle su internet prevedono la condanna sino a 20 anni per la pubblicazione di notizie considerate sovversive nei confronti dello stato. A sottolineare la necessità di una forte indipendenza e autonomia l’Associazine dei giornalisti birmani, che ha al suo interno ottocento iscritti, ha chiesto esplicitamente ai rappresentanti del governo di non prendere parte al loro primo congresso.
Questa nuova spinta al cambiamento è una sfida anche per l’impostazione paludata dei giornali di governo come The New Light of Myanmar, che quotidianamente per decenni ha raccontato ed esaltato, da buon giornale di regime, le dichiarazioni dei leader di governo e pubblicato solo foto di cerimonie, inaugurazioni e visite di diplomatici o politici stranieri. Oggi anche il suo direttore sta cercando un partner straniero, almeno per la sua testata in inglese. Anche l’USDP, il partito di governo nato dalla trasformazione in forza politica della mastodontica organizzazione paramilitare birmana USDA e che ha ottenuto la stragrande maggioranza dei seggi in parlamento ha aperto un suo quotidiano: The Union, ed un settimanale; The Voice che sta trasformando in quotidiano: the Voice Daily. Ovviamente entrambe le testate non hanno problemi di budget e si possono permettere di diffondere gratuitamente per i prossimi 10 giorni i loro giornali.
In contemporanea sono stati liberalizzati i visti giornalistici e per la prima volta l’agenzia di stampa AP ha aperto i propri uffici a Rangoon. giornali. Il Presidente Thein Sein ha mantenuto la promessa ma molte sono le preoccupazioni per il fatto che il mercato interno difficilmente potrà reggere tanta pluralità di giornali, in un paese che lotta per la sopravvivenza. Quasi nessuno può oggi permettersi di acquistare più di un giornale e quelli con meno risorse, anche tecniche saranno i primi a cadere. Ma non c’è solo la sfida della concorrenza che rischia di far chiudere prima di subito alcuni dei nuovi giornali, ma anche la sfida politica rappresentata dalla bozza di legge sulla stampa del Ministro per l’Informazione e Comunicazioneche è in discussione in parlamento. Se la proposta di legge venisse approvata, rappresenterebbe un duro colpo alla libertà di espressione e alla libertà di stampa e precostituirebbe il ritorno alla censura preventiva e al controllo sui media. Secondo la bozza in discussione, ciascun giornale dovrebbe ricevere un “certificato di registrazione” che consentirebbe al governo di bloccare qualsiasi pubblicazione sgradita, come i giornali di opposizione. Tra le varie norme restrittive è prevista la dichiarazione di illegalità di una pubblicazione se, questa viola tra le altre questioni, la proibizione di pubblicare notizie che “potrebbero causare danni ad un gruppo etnico o tra i gruppi etnici o insultare altre religioni, o addirittura inficiare lo stato di diritto o incoraggiare la violenza di massa”. Sarebbero anche vietate “espressioni e testi contrari ai contenuti della costituzione e di altre leggi”. Per ora in attesa di sapere che succederà con questa bozza e nella speranza che il Presidente della repubblica ne blocchi la discussione, è ancora in vigore la legge sulla Stampa e la registrazione, quella del 1962, che prevede sette anni di carcere per la mancata registrazione di un giornale e che consente al governo di revocare in qualsiasi momento le licenze di pubblicazione. In queste ultime settimane durante le quali la violenza interreligiosa nei confronti di enclavi mussulmane, si è allargata ad altre zone del paese, come nella città di Meikhtila vicino a Mandalay, e che si ritiene sia stata pianificata da organizzazioni terroristiche buddhiste, vicino al nazismo, alcuni giornalisti che cercavano di scrivere sui gravissimi avvenimenti sono stati minacciati e le attrezzature fotografiche sono state distrutte. Radio Free Asia ha denunciato il fatto che i giornalisti sono stati attaccati da gruppi di monaci buddhisti armati, perché stavano riprendendo gli attacchi contro una moschea. Il mito della lotta non violenta dei monaci buddhisti rischia di sgretolarsi se il governo rimarrà immobile e non interverrà per reprimere le organizzazioni della destra estrema birmana che stanno fomentando la rivolta interreligiosa e che hanno già causato la fuga di oltre 100.000 persone dalle loro abitazioni. Forse a qualcuno conviene ancora impedire la democratizzazione del paese, anche a costo di sacrificare come sempre, i più deboli e l’immagine internazionale che questo popolo si è guadagnato di eroe ed eroine della non violenza. Bisognerà lavorare a tutto tondo per mantenere vivo questo percorso, perché il cambiamento sia in grado di impedire i colpi di coda del vecchio potere militare e perché le libertà fondamentali, compresa la libertà di espressione e di stampa possano avere piena cittadinanza in Birmania. Ciò significa anche un impegno delle organizzazioni dei giornalisti di paesi come l’Italia, che hanno una storia e una profonda esperienza, sulle migliori modalità di costruire una informazione libera ed efficace, pur tra tutte le difficoltà e che potrebbero condividere con i loro colleghi birmani, che certo non sono alle prime armi visto lo straordinario coraggio e capacità nel far uscire le notizie anche nel passato più buio, ma che hanno bisogno di poter fare un salto qualitativo evitando possibilmente inutili errori.