Napoli, quando muore la democrazia

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In Via Cupa del Cane, nel quartiere di Chiaiano area nord di Napoli, i posti di blocco dell’esercito non ci sono più. Li aveva messi lì il governo di centro destra, in accordo con la giunta di sinistra dell’allora governatore della Campania Antonio Bassolino. Ai militari era stato assegnato il compito di vigilare e regolare l’accesso a quei luoghi. Qualche chilometro più su, proprio in collina, all’interno del parco metropolitano delle colline napoletane, era stata collocata una discarica di rifiuti e il sito considerato “d’interesse militare”. Nessuno vi poteva accedere né cittadini o movimenti, ma nemmeno rappresentanti politici. Diamine, ai parlamentari è concesso accedere nelle carceri ma non in un luogo dove si sversa la monnezza. Il transito era consentito solo a gli addetti ai lavori, alle altre forze di polizia disposte anche lungo il perimetro difeso con filo spinato e video sorveglianza. La guerra era stata dichiarata, e proprio lo Stato aveva deciso di espropriare questa parte di territorio rendendola inaccessibile. Per prenderne possesso venne usata una strategia precisa: l’acquisto dei terreni che probabilmente appartenevano all’arciconfraternita napoletana, che strano poi sentire i chierici parlare di bene comune, la forza contro le popolazioni locali e il convincimento a mezzo stampa che si trattasse di una scelta oculata e sicura, e la solita accusa nei confronti dei dissidenti di essere manovrati dall’invisibile piovra camorristica. Pensandoci bene parecchi giornalisti sono stati adeguatamente ricompensati, spiccando il volo verso redazioni più importanti per aver sostenuto le tesi governative.

Adesso tutto questo è solamente un ricordo, la discarica è chiusa, la magistratura sta ancora indagando perché poi si è scoperto che i camorristi non erano i cittadini che non volevano la discarica ma, probabilmente, le imprese che l’hanno costruita, mentre i militari sono andati via ma la bonifica dei luoghi non è ancora cominciata. La strada è ben asfaltata, sembra una delle tante che conduce a un borgo di montagna con ai bordi una staccionata in legno. Vi sono ancora le tabelle che invitano “di procedere adagio”, la videosorveglianza è ancora attiva; un paio di chilometri e finalmente compaiono i semafori questi però disattivati. A fare un piccolo filtro, adesso è una vigilanza privata. Ci invitano a parcheggiare l’auto nell’area antistante e a procedere a piedi utilizzando le scale. Poi un cancello, è aperto, ed ecco un furgone con agenti di polizia che proseguono a vigilare h24 di questo luogo. Eccola, finalmente possiamo accedere per la prima volta nel luogo della discarica di Chiaiano, Napoli-Italia, dove fino al giorno della chiusura dovrebbero essere state sversate 565mila tonnellate di spazzatura tal quale. L’occasione ci è data dal fatto che oggi si riunisce proprio qui il consiglio dell’ VIII Municipalità, invitata a farlo dal dott. Angelone presidente della SAPNA, l’azienda che ora gestisce il sito. Ad Angelone molti riconoscono una gestione più trasparente rispetto al passato, ma i nodi da sciogliere sono veramente tanti e i soliti muri di gomma istituzionali che non avviano il progetto di tombatura definitiva del sito proseguono come fiumi  carsici. L’aria quassù, nonostante gli addetti ai lavori affermino il contrario, è sempre irrespirabile. A un certo punto, forse ci siamo fatti suggestionare, ma avvertiamo un dolore alo stomaco. Alcuni non resistono e decidono di andare via. Durante la stagione estiva, poi,  non manca il garrito dei gabbiani. Ma ora questo luogo sembra ancora più lontano dalla città rispetto a quei giorni quando lo Stato decise, con la forza, di confiscarlo e cambiarne la destinazione d’uso. Qui la democrazia è morta da tanto tempo, ma qualcuno continua a far finta di non saperlo.


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