Giornata lunga in Parlamento. Impossibile raccontarla prima di quest’ora. Perché non molto fa si è conclusa la riunione dei grandi elettori del centrosinistra. E mentre si svolgeva quella anche Berlusconi era, con i suoi, a spiegare che il candidato per la Presidenza della Repubblica è Franco Marini. Quando Pdl e Pd affermano che quella è la scelta giusta, qualcosa di stonato forse c’è. Per 55 giorni Pierluigi Bersani ha cercato l’accordo impossibile con il Movimento 5 stelle. Nonostante le pressioni di Renzi, quelle di un pezzo del partito sempre crescente. Poi, quando dopo tanti no arriva un candidato come Stefano Rodotà che piace alla base del Pd, si dice no perché – è l’unica spiegazione possibile – non c’è lo jus primae noctis sulla sua scelta. Si dice che Rodotà ha il peccato originale delle Quirinarie dei Cinque stelle. Come se il suo curriculum, la sua vita, il suo impegno politico, la sua difesa della Costituzione fosse stata cancellata da parte di quei 48mila grillini che l’hanno votato. Non conta il suo passato e la sua voglia di futuro. Non conta il mondo universitario che lo ha proposto; non contano le petizioni on line su Articolo 21 e quelle transitate per change.org. C’é un virus nel Pd. Come la sindrome del tennista che ad un passo dall’ultimo punto si angoscia e perde la partita. E la perde nel peggiore dei modi, finendo nelle spire di un boa che ogni volta risorge.
Per noi cronisti, fuori dal Capranica, era davvero incomprensibile il dialogo a distanza tra Pd e Pdl. Direi kafkiano. Dentro Bersani presenta Marini come garante del centrosinistra. Dice che é doveroso dividere la scelta di un Presidente di larga intesa da quella del governissimo. La eco di Berlusconi davanti ai suoi è esattamente il contrario. Marini é l’unico che potrà permettere un governissimo di legislatura. Certo, Sivlio Berlusconi avrebbe preferito D’Alema o Giuliano Amato. Ma per evitare il rischio Rodotá Marini va benissimo.