La notizia è di quelle forti che dovrebbero far rizzare le orecchie un po’ a tutti. A dire il vero si tratta di una di quelle che meriterebbe di “aprire” i quotidiani di tutto il mondo con titoli a nove colonne alla quale, poi, si dovrebbero dedicare molte trasmissioni di approfondimento. Secondo quanto di recente ha dichiarato Federico Cafiero De Raho, che ha da poco lasciato l’incarico di procuratore aggiunto alla DDA di Napoli per assumere la guida della procura di Reggio Calabria, “la camorra sta per essere sconfitta”, gli inquirenti, oramai, sempre secondo De Raho, sono quasi arrivati alla sommità del vertice, anche se ci sono ancora da assicurare i referenti di Secondigliano, rione della zona nord di Napoli, che altro non sono che gruppi isolati. Credo che Cafiero De Raho sia un professionista fin troppo assennato, che preferisce stare lontano dalle luci della ribalta optando per i fatti anziché per le parole. Le sue dichiarazioni, spesso, non hanno ricevuto la giusta attenzione come nel caso in cui parlò di presenza di talpe interne alla procura napoletana. Eppure quanto da lui affermato, dichiarazioni che probabilmente avranno fatto sussultare più di qualche scrittore e i soliti professionisti dell’antimafia, che preferiscono costruire sul disagio altrui la propria sopravvivenza, non sono state approfondite ma immediatamente sconfessate da altri suoi colleghi alla prima utile occasione. Stimo e apprezzo De Raho per l’impegno sin qui profuso ma, personalmente, non credo che questa affermazione possa corrispondere a una verità oggettiva. Detto questo, però, passiamo alle smentite formulate da i suoi colleghi rilanciate alla prima occasione utile. Il primo a farlo è stato il giudice Lello Magi, altra persona conosciuta personalmente e che apprezzo per l’impegno professionale e culturale, trasferito a Roma dopo diciannove anni trascorsi al tribunale di S.Maria C.V. dove tra i tanti risultati conseguiti ricordiamo l’estensione della sentenza del primo processo Spartacus, che ha dichiarato “come non si può ancora affermare che il fenomeno camorra sia stato sconfitto”. Dichiarazioni alle quali sono seguite quelle del procuratore della Repubblica di Napoli Giovanni Conzo, che non conosco personalmente ma che comunque apprezzo per il lavoro da lui svolto, che in sintesi, in occasione di un convegno, ha ribadito come “la camorra non sia stata sconfitta”.
Sembra di assistere al gioco delle tre carte, dove solamente una è quella vincente. Ma qui, come sempre accade ai malcapitati forestieri che tentano la fortuna fermandosi a questi banchetti nei quali ci si può imbattere tra le strade adiacenti la stazione ferroviaria centrale di Napoli, a perdere sono proprio coloro che pensano di poter vincere e quindi i cittadini. Si tratta di dichiarazioni contrapposte che evidenziano, semmai ce ne fosse ancora bisogno, lacerazioni interne a una magistratura che non dovrebbe, almeno su questi temi, dividersi ma cercare semplicemente punti di unione e lavorare per offrire spunti di riflessione che tendano al miglioramento dell’azione giudiziaria nei confronti delle mafie. Invece le differenze prendono il sopravvento e a pagarne le conseguenze sono queste terre dove, a dire il vero si prosegue a utilizzare la parola camorra per sintetizzare non solo quel tipo di mentalità che fa della prepotenza, della sopraffazione e dell’omertà i suoi principali punti di forza ma soprattutto per offrire una spiegazione a tutti quei fenomeni che provocano danni alla comunità dimenticando, invece, che qui non stiamo discutendo di un’identità astratta che può offrire alibi a una politica e a una società che va riformata con le armi della democrazia, del dialogo e non dell’interesse privato. Questo rimpallo di dichiarazioni limita il pensiero di questi territori obbligandoli, poi, a credere che la camorra altro non è che una guerra tra opposte fazioni, tra due contendenti, tra il bene e il male. Quasi sempre, e non solo la politica, la cittadinanza tutta utilizza questo fenomeno delinquenziale come un paracadute, come un alibi per autoassolvere i propri errori, commessi in buona o cattiva fede, avviando così il solito rimpallo di responsabilità e non cavare mai nulla dal buco. La sconfitta è già dietro l’angolo, per tutti.