Come nell’interpretazione dei testi, anche per il governo appena costituito è doveroso distinguere tra il “testo” e il “contesto”. Nella composizione dell’Esecutivo ci sono per fortuna diverse presenze femminili –la ministra per l’integrazione ad esempio- un’età media piuttosto bassa (a partire da Enrico Letta) e varie personalità significative. Tuttavia, il quadro critico non cambia. E’ un governo di “larghe intese”, figlio di un arrischiato accordo tra Pd, Pdl, lista Monti, che esclude la novità delle ultime elezioni, M5S. Si può obiettare che Grillo si è tirato fuori, e c’è del vero. Ma l’ordine degli addendi sarebbe cambiato radicalmente se il Pd avesse appoggiato la candidatura di Stefano Rodotà alla Presidenza della Repubblica. Siamo tuttora di fronte ad una “trasversalità” che da tempo, con la crisi dei grandi partiti di massa, anima la politica italiana.
Certamente è importante la funzione di garanzia di Giorgio Napolitano. Ma è sufficiente o persino evocativa di un “presidenzialismo” di fatto?
Siamo ad un passaggio delicatissimo della storia italiana. Si può già dire che, al di là di tutto, non sembra emergere una vera discontinuità con il passato. Non sappiamo chi sarà delegato a seguire i temi della comunicazione. Sarà un altro punto di verifica, ma dei temi tabù, a partire dal conflitto di interessi, non si sente ormai parlare neppure genericamente.
Si gioca, poi, un’altra partita, altrettanto delicata: la legittimità del dissenso. E’ augurabile, come è stato anticipato da Pippo Civati, che un gruppo di parlamentari non voti la fiducia al governo. Come segno di critica e come ribadimento della necessità inalienabile dello stesso diritto alla critica.