Non c’è molto vento in Italia eppure la superficie di territorio coperto da impianti eolici è di molto superiore a quella coperta in nazioni a maggiore vocazione come quelle del nord Europa. E il grosso dei parchi eolici è possibile trovarlo tra il centro Italia, il meridione, le isole, Sicilia e Sardegna. A fare un giro tra i parchi eolici tanti però sono quelli fermi perché la produzione eolica secondo accordi stipulati da Terna è già bella e raggiunta e però nonostante i limiti toccati e superati si continuano a progettare e installare parchi eolici.
Sta in mezzo a tutto questo e alle vorticose cifre che girano, più delle pale, i segreti della fortuna di un imprenditore alcamese, Vito Nicastri, 56 anni, professione ufficiale sviluppatore, cioè imprenditore specializzato nella vendita di progetti e pacchetti eolici. Ma non solo: lui sarebbe l’ultima longa manus di Matteo Messina Denaro ad essere scoperto. L’imprenditore che cominciò a lavorare da elettricista, che frequenta i salotti migliori della politica siciliana e nazionale, ben accetto nelle imprese di mezza Europa, secondo i giudici del Ttibunale di Trapani per i prossimi tre anni dovrà vivere da sorvegliato speciale e nel frattempo non appartiene più a lui un patrimonio stimato in quasi 1 miliardo e mezzo di euro, titoli, quote societarie, aziende, denaro liquido, terreni e abitazioni, tutto gli è stato confiscato.
“Il bello di vivere qua, senti il territorio, lo percepisci, avverti che bisogna muoversi in un certo modo, capire le esigenze del Sindaco, dei consiglieri, la festa, cinquemila euro sono minchiate, però tu ti fai un rapporto, crei un rapporto di..”. Forse non c’è migliore affermazione per spiegare, con le sue stesse parole, chi è Vito Nicastri. Dietro di lui si staglia la cupa figura di “Cosa nostra”, la mafia diventata impresa, la mafia capeggiata da Matteo Messina Denaro, capo di quella “Cosa nostra” riservata che esiste dentro quella “Cosa nostra” come ufficialmente riconosciuta. Mafia e corruzione dentro questa indagine, mafia e impresa, quell’impresa che dialoga presentandosi con le mani pieni di soldi con politici e super burocrati.
E Vito Nicastri, 56 anni, ha tutte queste qualità. La capacità per esempio di arrivare nel 2010 fin dentro la stanza dell’on. Riccardo Savona, all’epoca Udc e relatore della finanziaria regionale, e spingere per la introduzione di alcune norme a lui favorevoli come ha documentato la Dia di Trapani. Ma è il capitolo mafia a pesare di più nella sua storia, e forse i politici lo temono e lo rispettono conoscendo queste sue frequentazioni con i boss quasi da “pari a pari”. Intrattiene rapporti privilegiati con la pericolosa cosca mafiosa palermitana dei Lo Piccolo, con le cosche del messinese, con le cosche catanesi.
A Nicastri il compito di mettere in contatto la mafia con le imprese “pulite”. Non solo mafiosi nell’agenda di Vito Nicastri, ma anche le ndrine calabresi, i Nirta di San Luca, i Ciriaco di Africo, i Giampaolo e i Mammoliti di San Luca. Ma a tradire l’impero Nicastri nemmeno sono state tanto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, le intercettazioni, i controlli bancari, l’attento esame della documentazione contabile da parte di quello stesso pool di 007 che per conto della Dia in questi anni ha colpito grandi pezzi dei patrimoni illeciti della mafia trapanese (dai supermercati Despar di Grigoli alle imprese di calcestruzzo del Belice), ma addirittura una cassaforte scoperta nella sede di Alcamo di una delle società di Nicastri, al cui interno si è materializzata la prova della esistenza di una vera e propria holding su vasta scala, società moltre intestate a soggetti terzi e delle quali Vito Nicastri teneva al sicuro documenti e chiavette bancarie per movimentare i conti.
La spavalderia di Vito Nicastri però non sembra resistere davanti a tutto e a tutti e così quando un paio di anni addietro gli investigatori della Dia andarono a bussare alla sua porta per eseguire il decreto di sequestro delle aziende e delle sue proprietà, anche lui pur tanto spavaldo sbiancò e successivamente intercettato a commentare quanto fatto da un paio di ore dagli agenti della Dia fu sentito dire, “quand’è così l’avemu no’ culu!”.