“Finale di partito” si intitola un bel libro recente di Marco Revelli, giocando con un cambio di vocale con la celebre opera di Beckett. E’ il caso del Partito democratico. Quello che è successo in questi giorni (in queste settimane) non è rimediabile. Sulla vicenda del Presidente della Repubblica Il tessuto connettivo del Pd si è dissolto. E’ stato davvero grave, ma neppure casuale, che sia stata rifiutata l’ipotesi di appoggiare Stefano Rodotà, candidatura anche simbolicamente espressiva di un cambio di pagina. Di paradigma. Si poteva aprire una prospettiva assai nuova e interessante, non l’unità con M5S al solito modo politichese, bensì il confronto con la realtà effettiva dell’Italia emersa dal voto di febbraio. Ha vinto un’altra linea, quelli che… (grande Jannacci) da anni vogliono l’intesa compromissoria con la destra. Non con quella di Helmut Khol, con quella a egemonia berlusconiana. E le larghe intese, comunque mascherate, sono la conclusione inevitabile della breve storia dei ‘democratici’. Tra l’altro, nei punti delle commissioni dei “saggi”, cui si ispirerà il nuovo governo, non c’è spazio per il conflitto di interessi, l’antitrust, l’abrogazione della legge Gasparri. Tra le altre cose.
Che fare? Una rinnovata aggregazione di sinistra, riformista, aperta e moderna. Bene hanno detto e scritto Barca e Vendola. Ma non si rimanga rinchiusi nei vecchi recinti del Pd e di Sel: tra la politica e l’antipolitica ci sono tante più cose…