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Cantanti: dal pentagramma al pentastellato e (avvilito) ritorno

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Il fenomeno politico più significativo degli ultimi tempi è il disincanto dei cantanti. Una sorta di amaro, incredulo risveglio di grandi artisti della canzone, precipitati da soavi armonie politico-culturali con il non-Leader a 5 Stelle giù giù, fino a cacofonici stridori con le sue irrevocabili non-scelte. Ed eccolo, il Molleggiato già folgorato sulla via di Sant’Ilario (con annesso non-inno elettorale per il Guru epocale), inquietarsi ed avvilirsi in forma epistolare per il mancato accordarsi di Grillo con gli otto punti di Bersani. Ed eccolo, il non più assessore Battiato, un attimo prima dell’esternazione europea suicida, stupirsi – con accenti impazienti – della renitenza dei per lui meritori pentastellati all’intesa col centrosinistra. Ed eccola, la già delusa dal centrosinistra Fiorella Mannoia, riconvertire tristemente un’adesione ammirata all’avanzata rivoluzionaria del MoVimento in un’inquietudine basita per l’immobile autoreferenzialità del MoVimento medesimo. Ora, sarà che io canto malino, ma, fin dal primo “vaffare” di Beppe, avevo subodorato una certa qual allergia di non-Capo e adepti alle normali necessità di mediazioni e convergenze della politica. Ma io, da sempre fuori dall’hitparade, non faccio notizia. La fanno, invece, gli illustri cantanti disincantati, su giornali, tivvù e web. Ovvio che sia così, un po’ meno – forse – la mancata riflessione su una certa facile tendenza alle illusioni politiche da parte di artisti illustri. Non lo dico per me, ma per eventuali loro colleghi meno acclamati e meno pubblicati nelle prime pagine, nelle bacheche e nei sommari dei tiggì: magari, un paio di mesi fa, Little Tony aveva detto confidenzialmente al suo idraulico che Grillo non lo convinceva, e che in fondo Bersani non era male.  Fatecelo sapere.


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