Amianto, cinquecento morti valgono 7 anni di carcere. A queste conclusioni sono giunti i pubblici ministero di Voghera Giovanni Benelli e Valentina Grosso nel processo con rito abbreviato che vede imputati due ex dirigenti della Fibronit di Broni per disastro doloso, omicidio colposo plurimo e omissione delle norme anti infortunistiche. Si tratta di uno stralcio del processo principale e i due imputati, Claudio Del Pozzo, 74 anni, romano e Giovanni Boccini, 74 anni, di Alessandria, avrebbero avuto un ruolo marginale nella gestione della fabbrica oltrepadana che fino al 1993 ha prodotto materiali edili a base di amianto. La prossima settimana parleranno le parti civili, poi i difensori. La sentenza è attesa entro luglio.
Broni è stata una delle capitali dell’amianto in Italia. E solo venti anni dopo la chiusura dello stabilimento si aprirà, il 23 maggio, il processo agli otto imputati “principali”, i dirigenti ancora vivi, perché molti dei componenti dei cda dell’azienda sono spirati serenamente. A differenza delle centinaia di lavoratori, dei loro familiari e degli abitanti della cittadina di 10mila abitanti lungo la via Emilia, ai piedi delle colline dell’Oltrepo pavese.
Le morti conseguenti al mesotelioma pleurico continuano quasi ogni settimana nella zona di Broni. Dall’inizio dell’anno almeno quindici persone sono scomparse. Nel 2012 i decessi direttamente riconducibili alle fibre di amianto sono più di 50 e i nuovi malati sono stati più di sessanta.
Secondo le indagini epidemeologiche la malattia si sta spostando, verso est, lungo l’asta del fiume Po.
Tra le duecento parti civili presenti al processo, c’è anche l’Asl di Pavia, che chiede i danni per le spese sostenute, dimenticandosi che, per anni, gli enti pubblici hanno osservato la strage. In silenzio.