Si chiama Amina, rischia la lapidazione

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C’è un’altra ragazza da salvare. Una ragazza che si batteva contro la violenza sulle donne. Si chiama Amina Tyler, studentessa liceale, ha diciannove anni, è tunisina. La sua colpa, per un Paese precipitato dopo la rivolta nella follia dell’estremismo islamico, è di aver scelto la maniera sbagliata. E’ entrata a far parte del movimento “Femen” e ha mostrato il suo corpo come segno di protesta contro gli abusi sulle donne. Una decisione che ha scatenato la reazione dei predicatori musulmani che hanno invocato per lei la pena di morte. “E’ una blasfema, dovrebbe ricevere dieci frustrate e poi va lapidata finché morte non sopraggiunga”: questa è la condanna pronunciata da Adel Almi, infastidito anche dalle parole di Amina che in una intervista rilasciata a Ettounsiya Tv ha puntualizzato: “Il corpo è mio e non appartiene a nessun altro, né a mio padre, né a mio marito, né a mio fratello”. Una frase scritta in arabo (“Il mio corpo mi appartiene e non è di nessuno”) anche sul suo corpo nudo nella foto che ha postato su Facebook. Quel profilo non è stato più aggiornato, anzi è stato piratato da un hacker, così come è stato bloccato Skype. In poco tempo aveva conquistato quasi quattromila amicizie. Ma soprattutto da tre giorni Amina non risponde al telefono. Sparita, forse rapita.
Inna Shevchenko, leader delle “Femen” è molto preoccupata: “Abbiamo ricevuto messaggi nei quali è indicato che sta con la sua famiglia e che sta bene, ma non conosciamo le persone che ce li hanno inviati. Eravamo in contatto con lei da due settimane, desiderava lanciare Femen in Tunisia”.
Anche per la legge ordinaria il gesto di provocazione in Tunisia prevede una pena, per offesa al pudore, di sei mesi di reclusione. Ma quel che preoccupa è la fatwa lanciata dagli Imam salafiti che nell’ordine chiedono la quarantena (trattandosi a loro dire di una malattia che potrebbe divenire epidemia e quindi potenzialmente coinvolgere altre ragazze), la fustigazione (dieci frustate alla schiena, magari in pubblico, per dare l’esempio) e infine la lapidazione: «finchè morte non sopraggiunga».
Il problema è che i primi nemici Amina li ha in casa. La famiglia le è dichiaratamente ostile. La sorella, andando in televisione, non accetta il suo comportamento. Anzi, se ne dissocia totalmente, quasi al punto di annunciarne l’allontanamento. Per il 4 aprile l’organizzazione “Femen” ha indetto una giornata in difesa di Amina.


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