Chi ha manifestato sotto l’ufficio di Patrizia Moretti cercava l’incidente. Non l’ha trovato, la provocazione non ha funzionato nonostante fossero giorni ormai che quello striscione di solidarietà ai 4 agenti in carcere, condannati per la morte di Federico Aldrovandi, si aggirasse per le vie della città appeso ad un camper. Ora anche in esposizione proprio sotto le finestre dell’ufficio del comune dove lavora la mamma del ragazzo, ucciso a 18 anni il 25 settembre del 2005. La provocazione sempre più diretta e violenta non ha avuto l’effetto sperato, ma il suo contrario. Nessun tafferuglio di piazza, perché ad accogliere i manifestanti del Coisp sono stati prima il sindaco che li ha invitati, invano, a spostarsi, poi la stessa mamma di Federico, costretta a scendere con la foto del figlio, quella terribile, il volto stampato su un letto di sangue. Solo allora “i manifestanti” hanno abbandonato la piazza, a testa bassa, in silenzio, come si addice a persone “senza vergogna, sentimento nobile che non è per miserabili” scrive Carlo Cavallaro nel suo blog in un commento dal titolo Lasciali fare, Federico.
Ancora una volta la dignità e la forza di Patrizia Moretti stanno provocando non una solidarietà spesso dovuta e purificatrice delle coscienze, ma civiltà e democrazia. Oggi saremo in tanti in Piazza Savonarola a Ferrara. La chiamata è arrivata spontanea, dalla rete, dagli amici, dall’associazione per Aldro. Tanto forte da non poter essere ignorata, anzi rilanciata dai mezzi di informazione e dal parlamento italiano. Patrizia Moretti ha ricevuto le telefonate dal presidente delle Camera Laura Boldrini, il senato l’ha applaudita. Sono testimonianze importanti, ma non bastano. Il sogno nostro, di tutti quelli che domani saranno in piazza a Ferrara è poter vedersi accanto agenti in divisa a manifestare contro chi questa divisa la infanga, con la violenza della parole e delle mani. Il sogno è che chi commette questi reati sia finalmente espulso dalle forze dell’ordine. Il sogno è che il parlamento italiano approvi quella legge contro il reato di tortura che vede il nostro paese da 25 anni inadempiente con la Convenzione dell’Onu a cui ha aderito. Il sogno è che ad essere processati non siano le stesse vittime o i famigliari di chi subisce abusi da parte dei rappresentanti dello stato. Quello che è successo a Patrizia Moretti deve sopportare in questi giorni anche Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto a Varese in ospedale, dopo una notte di “botte e misteri” trascorsa in una caserma dei carabinieri. Un giudice ha ordinato ad un altro magistrato di indagare e di far luce su quanto accaduto nella caserma, perché qui potrebbe trovarsi la causa scatenante della morte di Giuseppe Uva. Per aver detto e richiesto con forza che questa indagine sia fatta, Lucia è ora indagata per diffamazione. Succede in questo paese a chi si trova solo di fronte a verità che sembrano intoccabili, ma che una volta rivelate non fanno sconti, nemmeno a chi le racconta.