Non vogliamo insistere ancora, dopo i molti articoli pubblicati su questo sito fra domenica e lunedì, sul valore generale che hanno per il centrosinistra le elezioni di Laura Boldrini e Pietro Grasso ai vertici del parlamento, e ( si licet…) sul valore particolare che esse hanno per noi di Articolo 21: i due presidenti hanno sempre nutrito i nostri stessi valori. I valori della comune umanità e quelli della nostra costituzione, che dei valori della comune umanità è la codificazione per gli italiani. Qui vorrei aggiungere qualche riflessione su quanto sia necessario, specie a noi che facciamo giornalismo, non cadere mai nell’errore dell’avversario viscerale, quello abituato ai giudizi sommari. Il senso di responsabilità dimostrato dai senatori del M5S, consentendo che alcuni di loro votassero il magistrato antimafia Pietro Grasso per evitare il ritorno dell’avvocato di molti mafiosi Schifani, è stato definito da Grillo mercato delle vacche. Naturalmente, non solo non c’entrano le vacche, ma nemmeno il mercato, perché nessuna contrattazione c’è stata tra Pd e grillini. Nemmeno la pacca sulla spalla che il presidente Einaudi racconta descrivendo il mercato di Carrù: non importa per i soldi, me li darai dopo. Uomini d’onore, non in senso siciliana. Una certa Sicilia, s’intende. La Sicilia di Alfano da Lucia Annunziata, per esempio, mercanteggia con Bersani: “Tu mi dai il Quirinale a me, io ti dò il governo a te”. Cosa nostra. Ma di Alfano, Grillo non ha parlato. Lui vede vacche solo se all’obbedienza cieca pronta ed assolta vien meno la sua mandria. Come al Senato , dove uomini e donne esordienti ma già pienamente responsabili hanno scelto tra la follia del Nerone incendiario e la saggezza di Seneca. I suoi fulmini fanno impaurire solo i cacadubbi del Pd, spingendoli a consigliare Bersani di passare la mano a Rodotà a o Prodi per placare l’orco. Sapienza di vili, fra i quali ci piace di non trovare Renzi, che invita il leader, quale ne sia la ragione ultima, ad andare avanti.
Andare avanti può anche significare incontrare e realizzare uno degli infiniti casi in cui il mercato delle vacche altro non è che la Storia in divenire. Superando montagne di morti e oceani di diffidenza, cioè la normale politica. Qualche giorno prima che votassimo, il 24-25 febbraio, è morto Zuang Zedong, giocatore cinese di tennis da tavolo. S’ incontrò in Giappone con un giocatore americano e osò proporgli una partita al tavolo di ping pong. C’era la guerra fredda, a Pechino isolatissima imperava il tiranno-liberatore Mao, aspirante ad avere all’Onu il posto tuttora occupato dai nazionalisti di Taiwan; a Washington vittoriosa sul nazismo e di nuovo in bilico sulla guerra nucleare con l’Urss c’era la presidenza imperiale di Nixon. La partita si fece. Avrebbe inaugurato la cosiddetta “diplomazia del ping pong”. Due mesi dopo il segretario di stato Kissinger volava in segreto a Pechino a mercanteggiare una neutralità cinese nella guerra fredda tra Occidente e Patto di Varsavia. Qualche mese ancora e Pechino prendeva il posto di Taiwan nel consiglio di sicurezza. A febbraio del nuovo anno, Nixon imperiale stupì il mondo con la visita di un’intera settimana in Cina. Mai “mercato delle vacche” aveva interessato tanti miliardi di uomini. Ma nessuno lo chiamò così. Tutti (anche chi, come noi, stava coi nazionalisti) pensò in termini grilleschi. Pensammo alle centinaia di milioni di morti che erano stati scongiurati svendendo (in parte) un alleato col quale si era combattuto fianco a fianco contro i giapponesi.
Ricordiamo cose notissime, per dire quanto stiano indietro il comico genovese e il suo “guru pazzoide” che mentre pranza gioca col telefonino alla guerra fra pianeti e alla loro distruzione. Al loro confronto, viva i senatori e le senatrici (siciliani?) come Vacciano, che hanno osato dire ai predicatori di morte “Ho votato Grasso”. Apprezzo più che mai l’ottimismo sulla natura umana di Bersani, la sua capacità di regalare con Laura Boldrini un’aureola di eterno femminino alla saggezza politica ammalata, il suo ottimismo che è stato per secoli fondamento della cultura liberale. Diranno che cerchiamo lontano quella cultura. Non tanto, avendo conosciuto e visto all’opera, soprattutto in questo settennato, l’ottimismo innovatore di Napolitano. Nonostante le delusioni regalate a lui e a noi tutti da personaggi in cui tutti avevamo riposto fiducia.