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La sfida di Grillo all’informazione e il diritto dei cittadini di sapere

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“Sconvolgente, morboso, malato, mostruoso” non è l’assalto dei giornalisti ai neoparlamentari del MoVimento 5 Stelle. Quell’affollarsi di telecamere e microfoni è il prezzo, il felice prezzo, che paga ogni fenomeno nuovo e di successo che esce dall’anonimato e diventa oggetto di attenzione pubblica. Morboso, malato, mostruoso è piuttosto l’atteggiamento del loro leader: feroce avversario di Berlusconi, ma suo fedele e talentuoso emulo nel rapporto coi media. Nel ’94, nell’era analogica, ci fu la videocassetta della cosiddetta “discesa in campo”. Oggi che siamo digitali c’è il post. Ma uguale è la pretesa di una comunicazione unidirezionale, in cui le domande dei giornalisti sono un fastidioso inciampo da togliere di mezzo: con gli editti, con gli insulti, con le minacce. Noi non abbiamo cambiato idea: ai personaggi che abbiano ruolo pubblico compete il dovere di rispondere. E pazienza se la prova-telecamera talvolta provoca crepe nella fiducia dell’opinione pubblica. Tutta Italia rideva quando le Iene ricevevano risposte imbarazzanti ai test di storia fatti sulla piazza di Montecitorio. Antonio Di Pietro ha pagato un prezzo alto ad un’inchiesta televisiva di Report sulle sue proprietà immobiliari. Perché ora bisognerebbe riservare un trattamento di favore ai nuovi arrivati? L’opinione pubblica ha il diritto di conoscere le opinioni dei neoparlamentari sul fascismo o sui microchip inseriti negli Usa sotto la pelle degli individui. E se Grillo cerca i “mandanti” di queste operazioni, può aiutarlo un memorabile Altan di annata: “a volte mi chiedo chi sia il mandante di tutte le cazzate che faccio”.
Il problema delle proprietà dell’informazione esiste di certo, ma nello schema di Grillo non è solo il giornalismo “asservito” a fare problema: è il giornalismo in quanto tale a dar fastidio, perché le domande non sono previste nel rapporto diretto tra il leader carismatico e il suo popolo.
Con tutte le sue contraddizioni, zone d’ombra, incertezze, la gran parte del giornalismo italiano ha però dimostrato in questi vent’anni che il bavaglio non se lo vuole far mettere. L’allenamento intenso fatto con Berlusconi può tornare utile oggi, se Grillo intende continuare in questa sfida all’informazione, cioè al diritto dei cittadini di sapere: di sapere anche come a pensino gli altri 161 parlamentari oltre i due capigruppo autorizzati dal capo all’uso della parola.
Quanto poi alla proposta di vendere due reti Rai, sarebbe interessante sapere da Grillo (magari glielo facciamo chiedere da un giornale straniero) se abbia seguìto la recente vendita de La7, e abbia letto delle preoccupazioni diffuse per il possibile ampliarsi della già esorbitante influenza berlusconiana. Vogliamo incrementarla ulteriormente? Il discorso sulle dimensioni della Rai sta all’interno di una profonda revisione del sistema dei media: conflitto di interesse, tetti alla concentrazione pubblicitaria, misure per la salvaguardia dell’emittenza locale (che sta precipitando in una crisi mortale: al MoVimento 5 Stelle interessa, o basta la rete?). E si potrebbe scoprire persino che ciò di cui ha bisogno il Paese non è la privatizzazione della Rai, di fatto per tanti versi già privatizzata da partiti e gruppi di potere; ma una Rai “ripubblicizzata” , aperta ai cittadini nei suoi palinsesti e nelle sue stesse forme di governo.


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