di Nadia Redoglia
Mentre la religiosa Pasqua pare rivelarsi un tripudio di simbologia benefica con l’avvento di papa Francesco, la laica Pasqua italiana richiama significati da incubo (eccezion fatta per il movimento sodomita che al posto della “b” ci mette la “l”). Scartato l’immaginifico tripudio legato alla (ebraica) liberazione e alla (cristiana) resurrezione, noi si confidava almeno in un po’ di quiete legata al sabato delle pie donne. E invece no. Noi si sta come gli egizi dietro alle porte non segnate dal sangue dell’agnello in attesa d’essere sterminati dall’angelo vendicatore o, se preferite, s’ha da stare in croce come i due ladroni in un venerdì che sembra non avere fine. Similitudini, metafore?
Ci stanno famiglie con un segno sulla loro porta: intimazione di sfratto o vendita all’asta. Ci stanno giovani genitori, con figli piccoli, appesi sulla croce della lettera di licenziamento o sentenza di fallimento. Ci stanno padri e madri, con figli quasi grandi, inchiodati di brutto per colpa delle loro scarse 50 primavere. E che dire poi di quei centurioni che non paghi d’aver ucciso il figlio a quella madre che ancora sta sul calvario, sono andati a prendersi gioco di lei?
E poi ci stanno i sommi sacerdoti, ponzio pilato, barabba, giuda, erode, galli che cantano al pietro che rinnega, ma quelli non patiscono mai ché altrimenti come si farebbe a produrre la via crucis laica?!