Beppe Grillo ha sempre detto di amare poco giornali e giornalisti. Che ingratitudine! Perché proprio a loro deve il successo elettorale. Ogni volta che si è negato, ha “fatto notizia”. In campagna elettorale non si sa se ha suscitato più clamore l’annuncio della sua prima e unica intervista a Sky-Tv, o il successivo annullamento della stessa. Ed è singolare che proprio gli “odiati” media, dando ogni giorno risalto e spazi a Grillo, lo abbiano involontariamente aiutato a riempire le piazze e ad amplificare e diffondere i suoi slogan.
L’abile strategia comunicativa di M5S voleva, evidentemente, raggiungere proprio questo risultato, e la scelta del Web come unico medium, in realtà puntava a ottenere un’eco mediatica proprio sui media tradizionali, come i giornali e la televisione.
Questa strategia, nella comunicazione politica, non ha rappresentato una novità. Basta pensare a L’isola dei Cassintegrati.
La Vinyls di Porto Torres (Sassari), un’azienda chimica ex ENI (residuo dell’impero chimico della SIR, costruito da Rovelli negli anni ’60 e ’70) nel 2010 annunciò la prossima chiusura. Nel febbraio di quell’anno gli operai, occuparono per 15 mesi l’ex supercarcere dell’isola Asinara. Due studenti di comunicazione, Marco Nurra e Michele Azzu, a loro sostegno crearono un blog e un sito, battezzandoli appunto L’isola dei Cassintegrati. Fu un successo: migliaia i lettori quotidiani del blog mentre il sito raggiunse il milione di visitatori. L’obiettivo era, però, di smuovere giornali e Tv nazionali. Così avvenne. La storia finì sull’agenda dei media non solo in Italia, ma anche in Francia, Spagna, Regno Unito, Germania, Austria, Ungheria, Canada, Svizzera, Australia e Messico. Il segno evidente di questo successo si registrò quando gli ascolti televisivi di un talk show dedicato all’Isola dei Cassintegrati superarono quelli della “concorrente” trasmissione di Simona Ventura l’Isola dei Famosi.
Gli operai della Vinyls raccontavano ai giornalisti le loro storie e spiegavano le loro ragioni. Grillo no. Durante la campagna elettorale ha sempre evitato il dialogo o il contraddittorio. Rientrava nel personaggio, portavoce delle paure, della protesta, della rabbia, del senso di impotenza della gente, non interlocutore ma megafono dell’Italia inascoltata.
Nella comunicazione neppure questa è una novità.
Un grande maestro del giornalismo, Andrea Barbato, scomparso prematuramente e improvvisamente, aveva cominciato a scrivere un libro sulle malattie della politica, intitolato “Come si manipola l’informazione: il maccartismo e il ruolo dei media”, rimasto purtroppo incompiuto. Quella parte che Andrea Barbato aveva scritto è stata pubblicata 16 anni fa, ed è, oltre che bella e interessante, soprattutto ancora attuale.
Narra del senatore americano Joseph McCarthy, inventore della campagna anticomunista negli Usa degli anni ’50, e della “caccia alle streghe”, che colpì funzionari dello stato, intellettuali, attori e gente del cinema. McCarthy riusciva a “fare notizia” anche sottraendosi alla stampa. Organizzava conferenze stampa per annunciare che avrebbe organizzato conferenze stampa che poi annullava, e così si guadagnava i titoli in prima pagina. “Produceva frasi, o più spesso menzogne, che diventavano immediatamente notizie. La stampa era obbligata a riportarle. E anzi, lo faceva con soddisfazione, perché creava titoli. Faceva vendere giornali”. A quei giornali autorevoli che lo criticavano ribatteva che “erano proprietà dei comunisti” (fu calcolato che se fossero state vere le accuse, ci sarebbero stati più giornali comunisti negli USA che in Unione Sovietica). Non rispondeva mai alle domande imbarazzanti dei giornalisti. Un giornalista televisivo (si chiamava Agronsky) cercò di incalzarlo: McCarthy rifiutò sempre di rispondere e, poiché quello insisteva, ne chiese il licenziamento, “perché quello aveva un nome russo”, cioè comunista.
McCarthy aveva cominciato la sua campagna -ha raccontato Barbato- tirando fuori da una borsa dei fogli e, agitandoli nell’aria, gridava che era una lista di comunisti schedati, che lavoravano al Dipartimento di Stato. Con quella borsa e quei fogli girò e scatenò le piazze d’America. Ma in quei famosi fogli non c’era scritto nulla. Quando, finalmente, i giornalisti scoprirono il bluff, McCarthy si sgonfiò e in poche settimane sparì delle scene della politica. Morì qualche anno dopo, dimenticato e senza rimpianti.