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Corsera, emergenza nazionale

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La vertenza Rcs Media Group, che con lo sciopero di due giorni a Il Corriere della Sera ha subito una drammatica accelerazione, non è una questione interna, ma una vera e propria emergenza nazionale. Sul piatto non ci sono soltanto centinaia di posti di lavoro (fatto già gravissimo di per se) ma il vero obiettivo è la cancellazione da una parte dell’anomalia Corsera e, più in generale, dell’autonomia dei giornalisti. L’anomalia della testata di via Solferino ha un duplice valore: professionale e sindacale. Sul primo versante il corpus di norme che nei decenni i giornalisti hanno conquistato, dal cosiddetto Statuto ad altro, andrebbero riprese e ammodernate. In altre parole la necessità di innovare le infrastrutture e in genere gli assetti editoriali dei vari gruppi o aziende, non va confusa con la cancellazione di quegli apparati normativi, aziendali e nazionali, che hanno garantito il ruolo de mediatori nella quotidiana battaglia per la libertà di informazione. Ovvio che anche quelle carte abbiano subito l’usura del tempo e vadano coniugate con i nuovi scenari digitali, ma sarebbe un errore ritenere che il tema posto da quelle regole sia superato. Anzi, proprio l’affacciarsi tumultuoso di nuovi media e piattaforme nel panorama dell’informazione, chiede un surplus di regolamentazione. Ciò che sta accadendo alla Rcs va nella direzione esattamente opposta e non è difficile intravedere nella richiesta di cancellazione dei patti integrativi la volontà di eliminare ogni ruolo del sindacato interno. È qui si arriva alla seconda parte del disegno che sottende al piano di Rcs Media Group: ovvero il ridimensionamento del ruolo del sindacato. È evidente che la compressione dell’occupazione fa il paio con la messa nell’angolo del ruolo delle rappresentanze di base e più in generale dell’organizzazione sindacale. Qui arriva al pettine il nodo di un sistema di relazioni industriali che è insufficiente a far fronte a quella che è insieme una profonda crisi di modello e, allo stesso tempo, una rivoluzione industriale che sta mutando radicalmente gli assetti del settore editoriale. Un cortocircuito dal quale si esce soltanto con una ripensamento profondo del ruolo dei giornalisti e nuove regole che ne garantiscano l’autonomia. L’informazione, intesa come complesso culturale-industriale ha un futuro che già si intravede, nel quale Ordine, Sindacato e tutti gli istituti della categoria devono scegliere come rappresentare i propri iscritti. In sintesi si tratta di difendere un alto livello di artigianato, quello della professione, coniugandolo con l’innovazione di prodotto. Il fine rimane lo stesso di sempre: tutelare non le prerogative di una casta, ma un insieme di contrappesi che costituiscono la struttura stessa della democrazia.

* Segretario di Stampa Romana


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