Oggi è una bella giornata. Il vento di scirocco ha smesso di soffiare su Trapani. Anche la burrasca si è allontanata. C’è un cielo azzurro, qualche nuvola, ma il calore del sole lo si sente già di buon mattino. Il mare delle Egadi, la campagna, la montagna di Erice, riempiono lo stesso panorama, è la bellezza delle cose che alla fine prevale, sempre. Nella vita le cose non sono diverse. Basta cercare la bellezza che la trovi, la assapori, la vivi e la condividi con gli altri. Non per forza quella estetica, ma la bellezza delle idee, delle cose da fare, dell’impegno…nonostante tutto e nonostante tanti che magari pensano alla bellezza di facciata, spesso artefatta, finta, bugiarda, che è sufficiente secondo loro a far dire che tutto va bene e che tutto è bello. Ecco Trapani è questa, c’è questa continua contrapposizione tra chi fabbrica una bellezza non vera, che come un castello di sabbia cede però ai primi marosi, e chi invece la bellezza vera la costruisce piano piano, giorno dopo giorno, ne tesse di giorno la tela senza mai pensare a scucirla di notte, Trapani come Itaca, da qui i Proci debbono andare via non spinti via dall’inganno, come voleva fare Penelope, ma affrontati come fece Ulisse a viso aperto, debbono capire che questa non può più essere una loro terra. Proci violenti che hanno ucciso, fatto stragi, spento la vita di onesti cittadini, inquinato l’economia, l’impresa, che hanno fatto cadere nella disperazione tante famiglie, centellinando anche il lavoro, o negandolo del tutto. E’ questa la mafia, sono questi i mafiosi. Liliana Riccobene, la vedova dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto, ucciso a Trapani il 23 dicembre del 1995, ammazzato dinanzi alla moglie che aspettava la seconda figlia, Ilenia, e alla primogenita Federica di pochi mesi, perché la sua morte fosse il “regalo di Natale” del boss Matteo Messina Denaro ai suoi comprimari assassini e stragisti detenuti al 41 bis, parlando ieri sera a Mazara del Vallo ad una iniziativa di Libera, lo ha detto a chiare lettere, “sono loro a dovere andare via, noi dobbiamo restare qui…noi siamo rimasti qui”.
Mafiosi il cui gioco, le cui strategie, oramai sono scoperte, ma non sconfitte. Quando hanno ucciso hanno sempre fatto scattare l’arma della denigrazione, per uccidere la loro vittima una seconda volta, calpestandone morale e dignità. E’ successo quando hanno ammazzato il pm Gian Giacomo Ciaccio Montalto, quando hanno attentato alla vita del pm Carlo Palermo e ancora quando ammazzarono il giudice Alberto Giacomelli, il giornalista Mauro Rostagno, i familiari di chi è morto sono stati costretti ad andare via, a stare in silenzio, a non parlare più, a non aiutare a ricordare. Carlo Palermo uscito vivo da quell’esplosione dell’autobomba a Pizzolungo che inghiottì Barbara Rizzo Asta, trentenne, ed i suoi due figlioletti, i gemellini Salvatore e Giuseppe di sei anni, fu costretto ad andare via anche lui, messo in disparte da quello Stato che sa piangere i morti e fa piangere chi invece resta vivo. Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime di Pizzolungo non dava fastidio fino a quando aveva deciso di vivere in silenzio, lontano da tutti, chiusa nel suo dolore, suscitò scandalo quando decise l’impegno con Libera, quando si presentò nelle aule di Tribunale per chiedere giustizia e verità, qualcuno sprovveduto e vile le gridò contro di volere strumentalizzare la morte dei suoi cari. Chicca Roveri la compagna di Mauro Rostagno conobbe addirittura il carcere, l’arresto, accusata di avere aiutato i killer ad uccidere il padre di sua figlia, Maddalena, Marene Ciaccio Montalto aveva 12 anni quando le uccisero il padre e dopo avergli ucciso il genitore la mafia minacciò lei, sua madre e le sue sorelle piccolissime, costringendole ad andare via da Trapani. Oggi che la mafia non spara più i suoi proci non hanno però smesso di sporcare la bellezza di questa terra. Anzi. Oggi le intimidazioni arrivano in nome della legge nei confronti di chi insiste nel riconoscere un solo potere, quello dello Stato libero e democratico, di chi vuole combattere mafie ed ingiustizie, malapolitica, corruzione, connivenza. Scatta la tecnica dell’isolamento, della delegittimazione, fa scandalo un giornalista che frequenta un inquirente o un investigatore e non invece il sindaco che stringe la mano all’imprenditore mafioso, un sindaco condannato resta tranquillamente a fare il sindaco, un impresentabile per causa di giustizia si presenta e viene eletto, anzi trascina il popolo dietro di se, Matteo Messina Denaro, la sua latitanza, la sua violenza stragista giudiziariamente accertata, ma non solo da un punto di vista giudiziario, non è per qualcuno il primo dei problemi, e per non disturbarlo o turbarlo più di tanto accade che nella scuola frequentata dalla figlia a Castelvetrano tutt’al più si può parlare di legalità ma non di mafia e gli studenti non possono nemmeno pensare di incontrare, per parlare invece di mafia, le persone che vorrebbero incontrare. Non ci sono solo i proci mafiosi, ci sono anche i proci ignavi, altrettanto pericolosi come i primi. Se un giornalista ricorda che la prescrizione non è la cancellazione di un reato, ce ne è subito un altro che cambia la prescrizione in assoluzione, ovviamente quando la cosa riguarda un potente, per i poveracci non funziona la stessa regola. E i mammasantissima ringraziano sempre questi gesti per loro di grande aiuto.
La mafia che non spara, la mafia sommersa, un giorno del 2002 si presentò a Trapani nell’ufficio del prefetto, Fulvio Sodano. Voleva convincerlo a vendere un bene confiscato a Cosa nostra, un impianto di calcestruzzi, la Calcestruzzi Ericina. Quel prefetto comprese chi erano quelle persone venute al suo cospetto e quale era la loro finalità. Li salutò e li andò a denunciare. Nel frattempo proseguì con più intensità un lavoro che aveva cominciò che era quello di affidare i beni confiscati alla gestione della società civile, restituendo ai cittadini onesti il maltolto, togliendo quei beni ai mafiosi e ai loro familiari che pur essendone stati spossessati riuscivano ancora a tenerli come propri. Il sottosegretario all’Interno dell’epoca, il sen. Antonio D’Alì lo avrebbe affrontato e gli avrebbe dato del “favoreggiatore”, “favoreggiatore” dei beni confiscati e quindi “favoreggiatore” non di delinquenti ma dello Stato. La mafia non gradiva il prefetto Sodano e si augurava che venisse presto cacciato via da Trapani. Il Governo Berlusconi, il ministro dell’Interno Pisanu, fecero il resto…non si sa se davvero fu la voce dei mafiosi ad entrare al Viminale e a Palazzo Chigi, ma Fulvio Sodano improvvisamente nel luglio del 2003 fu trasferito ad Agrigento. Quando nel 2005 si scoprì che i mafiosi erano andati a sfidarlo fin dentro la sua stanza, che ne avevano auspicato il trasferimento, la maggioranza dei consiglieri comunali votarono un ordine del giorno perché gli venisse conferita la cittadinanza onoraria di Trapani. Il sindaco dell’epoca Girolamo Fazio disse di no, sostenne anche che “la mafia esiste perché esiste l’antimafia”…nel frattempo però conferì la cittadinanza onoraria a un paio di giornalisti che parlarono bene delle arancine che era possibile gustare a Trapani. Oggi la richiesta non si è interrotta, c’è un comitato civico che la sostiene con l’appoggio di alcuni consiglieri comunali, ma il nuovo sindaco, Vito Damiano, ha scoperto che senza regolamento non è possibile conferire cittadinanze onorarie.
Ma la bellezza dell’idea di far diventare Fulvio Sodano cittadino trapanese non si è fermata. Manca l’atto scritto, forse non ci sarà mai, ma oramai è così. Fulvio Sodano è qualcosa di molto di più di un cittadino onorario. E il testimone della bellezza di questa terra, il testimone che ogni giorno ci dimostra come sia possibile cacciare via i proci ed i proci mafiosi. Assieme a tanta altra gente onesta. Come Marene Ciaccio Montalto che dopo 30 anni dalla morte del padre è tornata a Trapani, dicendo che è qui che vuole tornare ad essere cittadina. Come Chicca Roveri e Maddalena Rostagno che oggi affrontano come è giusto che sia da parti offese il processo per la morte di Mauro Rostagno senza che loro mai hanno dovuto abbassare lo sguardo, non sono loro a doversi vergognare ma chi ha impedito che subito ci fosse questo processo e chi ha voluto morto il loro compagno e il loro padre. Come Margherita Asta e Liliana Riccobene che raccontano le loro storie a testa alta. C’è il sole oggi che Fulvio Sodano fa il compleanno, compie 67 anni. Il suo nome è conosciuto ovunque, la sua storia fa continuamente il giro d’Italia. Inchiodato oramai su una sedia per una grave malattia, contro la quale sta conducendo la battaglia più importante della sua vita, ha vinto quella contro i proci mafiosi, la Calcestruzzi Ericina non è stata venduta ed è degli operai che dovevano diventare dei disoccupati, i beni confiscati sono stati assegnati alla società civile, sono trascorsi anni ma adesso i terreni confiscati ai mafiosi, vigneti, uliveti, torneranno ad essere produttivi, qui lavoreranno i giovani della cooperativa che porterà il nome di Rita Atria. Auguri prefetto Sodano, primo cittadino d’Italia nella lotta alla mafie e alle ingiustizie.