Prefazione Eugenio Scalfari
Don Antonio Sciortino è un prete ma anche un giornalista, anzi un direttore. Dirige «Famiglia Cristiana», giornale molto diffuso (centinaia di migliaia di copie) nelle parrocchie e negli oratori, specie al Nord ma non soltanto. Ufficialmente non rappresenta né la Santa Sede, né la Conferenza episcopale. La proprietà della testata è della Congregazione di San Paolo, ma «Famiglia Cristiana» non rappresenta neppure quella; i “paolini” si limitano a nominare o revocare il direttore ed è lui che decide la linea del giornale, naturalmente consultandosi con i suoi più stretti collaboratori.
La figura professionale e religiosa di don Antonio è dunque abbastanza complessa e ha indotto Giovanni Valentini a dedicargli un libro-intervista. Credo sia stata una buona idea e Valentini l’ha sfruttata fino in fondo ponendo domande a tutto campo: la morale, la religione, la politica, il Vaticano, l’Italia. Domande specifiche, capaci di delineare un quadro generale ma entrando anche nei dettagli, nei fatti concreti, nelle cause che li hanno determinati, nei personaggi che ne sono stati i protagonisti. E don Antonio ha risposto a tutte, senza imbarazzo né reticenza.
Ne esce, in quasi trecento pagine, la voce d’un cattolico moderno, prete fino in fondo ma anche moderno così come il Concilio Vaticano II l’ha configurato. Si potrebbe definire “martiniano” senza però dare a questa definizione il significato di una corrente all’interno della Chiesa. Del resto neppure il cardinal Martini accettava quella definizione, non si sarebbe mai riconosciuto nei “modernisti” del primo Novecento. Martini è stato soprattutto un vescovo e un cristiano d’intensa fede e così è, con tutti i suoi limiti, il direttore di «Famiglia Cristiana».
Le sue risposte alle domande di Valentini seguono un metodo: distinguono gli errori fatti dagli uomini che di volta in volta hanno guidato la Chiesa dalla comunità ecclesiale vista complessivamente e formata da tutti i credenti. La Chiesa può sbagliare per colpa dei suoi rappresentanti i quali a loro volta possono sbagliare in buona fede o anche per le debolezze e i vizi ai quali non hanno saputo resistere, ma la Chiesa resta sempre e comunque la Sposa di Cristo e impara dagli errori e cresce imparando. Perciò nel pensiero di don Sciortino non è mai stata tradizionalista; ha conservato le tradizioni e la loro memoria ma sempre è stata aperta alla modernità dell’epoca cercando con la sua predicazione di evangelizzarla o almeno di modellarla. Sciortino non si nasconde che tentando di modellare la modernità la Chiesa ri-modella anche se stessa. Questo è il suo pensiero e le sue risposte alle domande poste dall’intervistatore. Ne riassumo qui alcune che descrivono un quadro e i fatti specifici che lo configurano. E comincio da questa prima domanda di Valentini: «Il cielo stellato è sempre sopra di noi, come scriveva Kant, ma di fronte all’imbarbarimento della società moderna a volte viene da chiedersi: la legge morale è ancora dentro di noi?»
La riposta di Sciortino parte dunque dalla crisi economica che sta sconvolgendo la società ma che è anche secondo lui una crisi etica e spirituale. La crisi economica diventa così una sorta di “prova” che chiama in causa l’impegno individuale e collettivo. In un certo senso è un’incudine che serve ad affilare meglio l’amore per il prossimo, incoraggia i ricchi a sostenere i poveri, insomma risveglia il tessuto sociale.
Alle obiezioni dell’intervistatore sul dilagare delle diseguaglianze e dell’egoismo che le alimenta, l’intervistato risponde che l’egoismo è certamente riprovevole ma il solo antidoto è la fede e il modo di dimostrare la fede in Dio e in Cristo è quello di praticare la caritas.
La stessa risposta la dà alla domanda volutamente provocatoria che Valentini gli pone a proposito di Comunione e Liberazione, detta “la lobby di Dio”. Risponde: «L’espressione “lobby di Dio” significa fare un grande torto a don Giussani. È un giudizio non solo ingeneroso ma anche infondato. Che poi alcuni suoi “figli” cedano alla tentazione del potere è un altro discorso». Questo modo di distinguere gli errori e i vizi dei singoli dall’impegno della Comunità ricorre assai spesso nella visione dell’intervistato e nel giornale da lui diretto; a proposito di CL la risposta è questa: «L’impegno politico in senso stretto riguarda le persone e non Comunione e Liberazione in quanto tale». La stessa concezione don Sciortino la applica allo scandalo del “Vatileaks” e ai difetti e manchevolezze della Curia e addirittura al malgoverno di alcuni suoi componenti, specie quelli preposti alle operazioni finanziarie dello Ior. Gli errori e le colpe dei singoli non vanno mai confusi con la Chiesa: «Il Santo Padre continua a invitarci tutti alla conversione di vita, non solo purificando i nostri comportamenti ma anche aumentando la nostra devozione alla causa del bene». Insomma dal male al bene, questo è il percorso garantito dalla presenza di Cristo nella sua Chiesa. «La gerarchia è un’entità distinta e spesso contrapposta al “Popolo di Dio”?» gli chiede Valentini. Sciortino esclude questa contrapposizione così come esclude la distinzione tra presbiteri e laici. La Chiesa è una sola: istituzione gerarchica e comunità di fedeli. I peccati e i peccatori dentro la Chiesa sono molti, riscattati tuttavia da copiosi fiori e frutti della fede e dell’amore. Significativa e anche a suo modo paradossalmente divertente una citazione storica di Sciortino: «Il cardinale Ercole Consalvi, segretario di Stato ai primi dell’Ottocento, a Napoleone che gli diceva “E se domani mi proponessi di distruggere la Chiesa?” rispose: “Maestà, fareste una fatica inutile. Non siamo riusciti noi, noi preti, noi cristiani, con le nostre debolezze e la nostra infedeltà a distruggere la Chiesa. E vorreste riuscirci voi?”».
Un altro tema sul quale intervistatore e intervistato si diffondono a lungo riguarda il rapporto tra la religione e la politica. Su questo tema però, forse a causa della sua attualità, in Sciortino il prete e l’uomo di fede lasciano uno spazio molto ampio al giornalista e addirittura al cittadino schierato politicamente. E dice: «La Chiesa dev’essere al di sopra delle parti. Non è suo compito formulare soluzioni concrete e meno ancora soluzioni uniche per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno. Nel dialogo con una società pluralista e secolarizzata occorre cercare il più ampio consenso democratico per varare provvedimenti e leggi a favore dei cittadini e per la costruzione d’una società civile aperta e solidale. In tutto ciò che concerne l’organizzazione delle cose terrene – ricorda il Vaticano II – i credenti debbono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista». E prosegue: «Non si tratta di rifare il look a politici cattolici squalificatisi per aver difeso l’indifendibile (hanno pure votato che Ruby era la nipote di Mubarak) con scarsissimo coraggio e senso di appartenenza alla dottrina cristiana, ma di realizzare un nuovo progetto per l’Italia». Infine: «Lo Stato liberale garantisce il pluralismo e non discrimina nessuno in base alla confessione religiosa. A tutti assicura la manifestazione del proprio credo. Non è confessionale perché non sposa una sola religione e tanto meno la impone con la forza. Si mette al servizio della società e non viceversa».
Concludo. Bene ha fatto Valentini a portare il pensiero del direttore di «Famiglia Cristiana» a conoscenza (mi auguro la più ampia possibile) dell’opinione pubblica d’un Paese apparentemente molto cattolico e sostanzialmente tra i meno cristiani d’Europa. Quel giornale e quel direttore rappresentano ai miei occhi una Chiesa e una comunità con la quale il dialogo è possibile e fruttuoso. Resta da vedere fino a che punto la gerarchia accoglie il tipo di cattolico che «Famiglia Cristiana» rappresenta. Sciortino all’inizio dell’intervista nega che la gerarchia sia un’entità distinta dal «popolo di Dio» ma poi, quando le domande lo incalzano su casi concreti, quella distinzione riemerge anche nelle sue parole. L’elezione del nuovo Pontefice servirà anche a fare chiarezza su questo punto fondamentale. Si vedrà se sarà un Pio XIII o un Giovanni XXIV. I nomi servono a identificare un riferimento. Il riferimento del nome Benedetto era troppo lontano nel tempo perché fosse indicativo. Infatti, come lo stesso Papa rinunciatario ha ammesso, ha lasciato molte rovine organizzative e soprattutto spirituali e un’opera di ricostruzione di estrema difficoltà alla quale la Chiesa nel suo complesso dovrà dedicarsi.