Si chiamava Muhammad al Guindi, militante dell’opposizione egiziana e aderente a Corrente Popolare. Era scomparso da qualche giorno, dopo che era sceso in piazza per protestare contro il governo guidato dall’esponente dei Fratelli Musulmani Muhammad Morsi. Ora il suo corpo è arrivato all’ospedale al Helal del Cairo e i social network egiziani già diffondo le immagini del suo volto tumefatto, straziato dalle torture patite in carcere.
I suoi compagni di disavventura assicurano che è stato arrestato dalla polizia egiziana il 28 gennaio, poi detenuto e brutalmente torturato.
C’è un nome che in queste ore in Egitto viene ripetuto un po’ ovunque: Khaled Said. Khaled Said è stato ucciso dagli aguzzini di MUbarak senza un perché poco prima che cominciasse la rivolta di piazza Tahrir. Oggi per l’opposizione egiziana Muhammad al Guindi è il nuovo Khaled Said.
Sono lontani i tempi in cui il presidente Morsi poteva presentarsi come l’interprete della rivoluzione egiziana, adesso appare molto più semplicemente come il successore di Hosni Mubarak. E nella sua reiterata richiesta, quasi invocazione, di dialogo con le opposizioni, dopo aver usato il bastone referendario e quindi il manganello in piazza, c’è tutto il senso della crisi dei Fratelli Musulmani, che hanno gettato alle ortiche una chance storica e si avviano verso la stessa fine del regime che hanno combattuto. Diffiicile infatti prevedere cosa accadrà in Egitto, ma la crisi dei Fratelli Musulmani, irresponsabili artefici del proprio isolamento, sembra irreversibile.