di Roberto Bertoni
Osservando piazza Duomo domenica pomeriggio, mi sono tornate in mente le parole di Enzo Biagi, bolognese di nascita e milanese d’adozione: “Sono contento dell’umanità della mia gente che si rivela quando le cose vanno male. Noi siamo un grande popolo nei momenti difficili”. Aveva ragione, è sempre stato così. È stato così negli anni bui del secondo conflitto mondiale ed è stato così durante la Resistenza; è stato così quando due opposte bande di criminali – che poco avevano a che vedere con le ideologie e gli ideali politici che all’epoca animavano il nostro dibattito pubblico, specie fra i giovani – insanguinarono l’Italia con stragi e omicidi ed è così anche oggi, nel momento più acuto della crisi, mentre le industrie chiudono e il Nord operoso e produttivo si ritrova improvvisamente solo, tradito dalle promesse illusorie di due partiti, il PDL e la Lega, che avrebbero dovuto realizzare la “rivoluzione liberale” e, invece, sono stati capaci unicamente di condurre il Paese sull’orlo del baratro.
Tuttavia, un altro sentimento, se vogliamo ancora più intenso ed importante, mi ha accompagnato nel corso di una manifestazione che, probabilmente, passerà alla storia come l’inizio della rinascita, il primo passo verso un nuovo modello di moralità, di sviluppo e, trattandosi della Lombardia, di buona amministrazione al servizio dei cittadini. Scorgendo i volti dei presenti, infatti, non ho notato sentimenti di rabbia, rivalsa o rancore ma, al contrario, una ferma volontà di risollevarsi, tendersi la mano e collaborare insieme per ricostruire ciò che vent’anni di berlu-leghismo hanno raso al suolo, a cominciare dall’idea che il Paese non ce la può fare se non remiamo tutti nella stessa direzione e non sconfiggiamo il barbaro egoismo per cui contano solo i propri interessi e la propria affermazione personale; e pazienza se il resto della Nazione va in rovina, se gli scandali a ripetizione trascinano partiti e istituzioni nel fango, se la disaffezione dei cittadini nei confronti della politica è quasi totale e il populismo dilagante rischia di compromettere la stabilità anche della prossima legislatura che, invece, deve assolutamente essere caratterizzata da un governo forte, autorevole, duraturo e in grado di varare le riforme necessarie per “tirare l’Italia fuori dal buio”.
Un esecutivo zoppo, ossia privo di una maggioranza autonoma al Senato, provocherebbe difatti conseguenze imponderabili sia per quanto riguarda i mercati sia, soprattutto, per quel che concerne la tenuta dei già fragilissimi equilibri europei, cui basta un soffio per crollare come un castello di carte.
Non c’è dubbio che questo scenario sia il sogno inconfessato di Berlusconi e Grillo: un Parlamento paralizzato mentre fuori monta la protesta di una popolazione giustamente arrabbiata; un governo paralizzato e nell’impossibilità di realizzare non dico riforme radicali ma nemmeno quelle essenziali come una nuova legge elettorale e una seria legge che regoli la vita interna dei partiti, in attuazione del disatteso articolo 49 della Costituzione, e loro lì, a gridare nei teatri o nelle piazze, ad arringare la folla con slogan spesso volgari e promesse del tutto irrealizzabili, a gettare benzina sul fuoco di una crisi già gravissima di per sé e ad eccitare gli istinti più bassi dell’animo umano, quella mediocrità della quale, all’opposto, abbiamo un urgente bisogno di liberarci.
Per questo, mai come questa volta è necessario schierarsi: lo hanno fatto numerosi giornalisti, compresi molti amici di questa associazione, candidandosi nei vari partiti e schieramenti, e come sempre lo facciamo anche noi, esprimendo con convinzione il nostro sostegno a Pierluigi Bersani, al Partito Democratico e alla coalizione Italia Bene Comune, l’unica in grado di restituire la speranza di un avvenire migliore ad una Nazione che tutto può permettersi tranne che imbarcarsi in nuove, folli avventure.
Se davvero vogliamo risollevarci dal crepaccio nel quale il berlu-leghismo, il neo-liberismo e il populismo (che altro non sono che le diverse versioni dello stesso virus che ha infettato per quasi trent’anni l’intero Occidente) ci hanno fatto sprofondare, infatti, non abbiamo altra scelta che affidarci a chi si è impegnato a restituire dignità e valore a tutto ciò che negli ultimi tre decenni è stato cancellato, a cominciare dall’importanza delle parole.
Lo scorso anno, tanto per fare un esempio, nel corso dell’Assemblea Nazionale di Articolo 21 premiammo Silvano Lancini, l’imprenditore che pagò la retta della mensa ad alcuni bambini che il sindaco leghista di Adro, Oscar Lancini, aveva pensato bene di lasciare a pane e acqua perché le famiglie, per lo più immigrate, non potevano permettersi di pagare il servizio. Se ben ricordate, è lo stesso sindaco che qualche anno fa non trovò di meglio che dedicare il Polo scolastico cittadino a Gianfranco Miglio (e passi) e riempirlo di simboli del Carroccio, trasformando una scuola in una sorta di circolo leghista.
Ebbene, in piena campagna elettorale, il candidato presidente del centrosinistra, Umberto Ambrosoli, non ha esitato a pronunciare proprio lì, davanti alla scuola di Adro, il seguente discorso: “È qui che successo, è qui che questo messaggio è nato, è qui che è germogliato, è da qui che qualcuno si è fatto carico della difficoltà di alcuni di aprirsi. Se ne è fatto carico mettendo mano al proprio portafoglio nell’anonimato. Se ne è fatto carico dicendo: “Il problema non sono gli errori degli altri ma è quello che posso fare io” ed è questo che dobbiamo chiederci per la nuova Regione Lombardia. Non è una ricetta nuova, ci mancherebbe: lo è nei vent’anni di questa Regione. Che cosa posso fare io per fare in modo che chi è solo non sia solo, che chi è povero non sia povero, che chi ha bisogno abbia aiuto? Che cosa posso fare io per far capire a chi è egoista che la carità è la sua speranza ed è la sua vita?”. Fino a qualche anno fa sarebbe stato considerato un folle, un utopista, un visionario e qualcuno lo avrebbe senz’altro accusato di aver compiuto un atto di tafazzismo e di essersi inimicato i presunti “moderati”. Ora, invece, non solo le sue parole sono state accolte con entusiasmo dalla collettività ma, probabilmente, costituiranno un punto a suo favore nella difficile ed entusiasmante sfida per estendere alla Lombardia e all’Italia il trionfo di quella “Primavera arancione” che tutti noi portiamo nel cuore.
Ed è vero ciò che dice Ambrosoli: è lì che tutto è iniziato ed è lì che tutto finirà; è in Lombardia che sono avvenute le vicende più gravi degli ultimi mesi ed è da lì che bisognerà partire per restituire alla politica la dignità che ha smarrito; è lì, infine, che sono iniziate le due tragiche avventure – il craxismo e il berlu-leghismo – che hanno segnato l’ultimo trentennio ed è lì che deve rinascere una nuova, importante stagione progressista.
Come abbiamo scritto in altre occasioni, per costruire un’Italia veramente giusta e libera dal berlusconismo, devono tornare le parole, i sogni, i gesti, le speranze, i volti, i comportamenti e tutto ciò che in quest’interminabile stagione è scomparso dal nostro orizzonte.
Per dirla in breve, deve tornare la nostra Italia, un’Italia accogliente, solidale, buona: l’Italia di persone come Biagi per intenderci che, non a caso, è stato uno degli illustri epurati di un tempo che è finito e non deve tornare mai più.