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L’incantesimo di una vita ai margini

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Re della terra selvaggia non è un film che ti colpisce nell’immediato, ma uno di quelli che ti rimane a lungo dentro, che si deposita e riaffiora piano con immagini e parole anche a distanza di tempo. Questa la sua forza e la sua bellezza. Quasi una favola, una di quelle favole a cui solo il cinema di Miyazaki ci aveva riportato negli ultimi anni con le sue belle animazioni, l’opera prima di Benh Zeitlin, racconta con forza e assoluta semplicità il passaggio, brusco ma coraggioso, all’età adulta, con tocchi poetici che non sfiorano mai la retorica.
Ambientato in un pezzo di mondo che vive ai margini rispetto alla cosiddetta società civilizzata, Re della terra selvaggia, è innanzitutto un inno alla vita senza artifici, ad un ritorno alla natura e alla sua bellezza, anche in presenza di catastrofi naturali, all’amore per un’esistenza primaria.

Splendida la figura della piccola protagonista, Hushpuppy, quasi un folletto capace di incantare, con il suo sguardo “bambino”, un mondo adulto che ha dimenticato cosa voglia dire sognare e sperare, affrontando le piccole e grandi difficoltà che fanno parte della vita di ognuno, come il lutto, o la perdita di cose e persone care.
Di incredibile forza espressiva la scena iniziale del film, con la piccola protagonista che aggirandosi tra rottami e tronchi afferra i suoi animaletti e se li avvicina all’orecchio solo per sentirne i battiti.

Il cuore batte, la vita scorre ma può succedere anche che la vita a un certo punto si inceppi che qualcosa si rompa… “ho rotto tutto” dice a un certo punto la piccola… e quel tutto è il cuore del suo papà che non va più come dovrebbe andare, quel tutto è una vita che si sta spegnendo, quel tutto è la paura che arriva all’improvviso lasciando smarriti.
Hushpuppy però reagisce, con rabbia e determinazione, non piange, perchè “non si piange”, reagisce e quella paura incarnata da misteriosi mostri preistorici venuti da millenni lontani la combatte fino ad assoggettarla senza rinnegare quel mondo che ha deciso di rimanere ai margini e che ha rifiutato le regole e i benefici dell’altro, quello che sta oltre la diga, quello fornito di ospedali dove Wink, il papà, potrebbe essere operato e magari salvarsi la vita.
Una scelta radicale che comporterà costi elevati: a questi la morte dentro la sua strana casa fatta di lamiere e scarti, in mezzo alla foresta tra alberi e animali domestici, all’altra il brusco incontro con l’età adulta, le sue difficoltà e la comprensione della cosa più elementare, ma non scontata: l’essere solo un pezzetto piccolissimo di un immenso universo dove tutto si gioca su un equilibrio complessivo.

Ottima fotografia e splendide ambientazioni, Re della terra selvaggia, candidato a 4 Oscar, stupisce per “essere altro” rispetto alla produzione holliwoodiana cui seravamo ormai assuefatti.


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