di Roberto Bertoni
Come hanno sottolineato praticamente tutti i sondaggisti e tutti i mezzi d’informazione, le imminenti elezioni si decideranno al Senato, in quattro regioni in bilico: innanzitutto la Lombardia, ribattezzata scherzosamente “l’Ohio italiano”, e poi il Veneto, la Sicilia e la Campania. Due regioni del Nord e due regioni del Sud, dunque, considerando che il centro è da sempre saldamente nelle mani del centrosinistra e che alcune regioni dagli umori altalenanti – come, ad esempio, la Puglia e la Liguria – questa volta dovrebbero andare con certezza alla coalizione guidata da Bersani.
Sarà, pertanto, una sfida affascinante, combattuta fino all’ultimo voto e decisa, con ogni probabilità, dalle scelte di quell’elettorato che per anni ha creduto alle promesse di Berlusconi e della Lega ma ora si sente tradito, solo, abbandonato, privo di punti di riferimento e prospettive per il futuro. Si tratta, per lo più, di piccoli e medi imprenditori, commercianti, artigiani, liberi professionisti ma anche casalinghe e ceti sociali con un reddito ed un livello culturale medio-basso, poco inclini alla lettura di giornali e libri e all’uso dei social network e molto affezionati all’informazione televisiva, a cominciare da quella fornita dalle reti Mediaset.
Per quanto possa sembrare incredibile, quindi, la sconfitta di Berlusconi sarà determinata non tanto dalla media borghesia e da quei ceti sociali con un discreto reddito ed un elevato livello culturale –che mai si sono lasciati abbindolare dalle sue mirabolanti campagne elettorali e dai suoi colpi di teatro prima dei titoli di coda (passerà alla storia la sua promessa di abolire l’ICI durante l’ultimo confronto televisivo con Prodi alla vigilia delle elezioni del 2006) – quanto, soprattutto, da quello che un tempo era il suo zoccolo duro, il suo elettorato di riferimento, travolto più degli altri dalla crisi e, di conseguenza, poco propenso ad accordare la propria fiducia alla classe politica in generale.
Non a caso, in queste regioni, è dilagato in pochi mesi il fenomeno Grillo, ottenendo risultati strabilianti in Sicilia, dove attualmente è il primo partito, ma anche in numerosi comuni della Lombardia e del Veneto, dove per lo più ha approfittato della perdita di credibilità e della conseguente emorragia di consensi della Lega.
Tuttavia, è doveroso soffermarsi a riflettere sul fatto che le quattro regioni che decideranno il destino dell’Italia e, probabilmente, il futuro di almeno tre generazioni sono le stesse nelle quali sono state scritte alcune tra le pagine più importanti della nostra storia: dal Risorgimento alla Prima Guerra Mondiale; senza dimenticare la Resistenza, l’immediato dopoguerra, gli anni del boom economico e quelli, tragici, del terrorismo rosso e nero, degli agguati e delle stragi mafiose, dell’esplosione dello scandalo di Tangentopoli che segnò la scomparsa dei partiti storici e la conclusione della Prima Repubblica e dell’ascesa al potere di Silvio Berlusconi e di buona parte dei principali protagonisti della Seconda Repubblica.
Ed è sempre da queste quattro regioni, senz’altro tra le più dinamiche del Paese, che sono partite quasi tutte le grandi svolte politiche dell’ultimo secolo e mezzo: dallo sbarco dei Mille in Sicilia alla cessione dell’Italia meridionale, appena liberata, ai Savoia (nel celebre incontro che si svolse il 26 ottobre 1860 a Teano, Campania, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II); per non parlare poi della vittoria nella Grande Guerra (grazie alla decisiva battaglia di Vittorio Veneto tra l’ottobre e il novembre del 1918), della fondazione dei Fasci di combattimento (il 23 marzo 1919 nella sala riunioni del Circolo dell’Alleanza Industriale, in piazza San Sepolcro a Milano), antesignani del futuro Partito Nazionale Fascista, e di autentiche barbarie siciliane come l’eccidio di Portella della Ginestra il 1° maggio 1947 (considerato la prima strage dell’Italia repubblicana), la scia di sangue che tormentò Palermo e dintorni tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta e le già menzionate tragedie che provocarono la morte di Falcone e Borsellino tra il maggio e il luglio del 1992.
Ad ognuno di questi eventi, è innegabile che abbiano fatto seguito notevoli cambiamenti nel panorama politico e sociale italiano: cambiamenti destinati a produrre effetti, per lo più drammatici, per almeno un ventennio e a modificare radicalmente sia gli assetti istituzionali sia l’immaginario collettivo della popolazione.
Detto questo, riteniamo opportuno tralasciare per un attimo i pur importantissimi scenari campani e siculi e concentrare l’attenzione sul lombardo-veneto, ossia sulla culla del berlu-leghismo nella quale, per la prima volta dopo quasi vent’anni, il centrosinistra ha la concreta possibilità di ribaltare i pronostici che fino a qualche mese fa lo davano per spacciato.
Perché ciò accada, e ben sappiamo quanto sia importante, in particolare in Lombardia, è però indispensabile che la coalizione “Italia Bene Comune” non si limiti ad affrontare i pur fondamentali temi concreti che riguardano la vita di tutti i cittadini bensì offra loro una visione più ampia: una visione storica e geografica di ciò che rappresentano quelle terre per il nostro Paese; una visione in grado di smantellare l’inesistente mito della Padania ed evidenziare che si tratta di una palese assurdità che ha già provocato abbastanza danni; una visione, infine, che induca soprattutto i giovani a ricordare che Bergamo è la città dei Mille e non solo il luogo natio di Calderoli, che Milano è la capitale della Resistenza e la capitale morale e dell’editoria, assai prima di essere la roccaforte, peraltro oramai espugnata, del Cavaliere e a pensare al Veneto come alla regione della partigiana Tina Anselmi e dello psichiatra idealista Franco Basaglia, dello scrittore Mario Rigoni Stern e del poeta Andrea Zanzotto, del premio Campiello e di un popolo straordinario che è riuscito a trasformare una regione poverissima e devastata, nel 1951, dall’alluvione del Polesine in una delle aree più ricche, produttive e all’avanguardia d’Italia.
Qualcuno dirà che questi ragionamenti non portano voti e, pertanto, sono inutili. Noi, al contrario, crediamo che molte delle nostre sconfitte derivino proprio dall’aver rinunciato per troppo tempo a compiere questi ragionamenti e dall’aver trascurato quegli ideali di giustizia, libertà e solidarietà che sono stati alla base del Risorgimento e della Resistenza (il nostro “secondo Risorgimento”, per dirla col presidente Ciampi), da cui è nata la Costituzione che giustamente Bersani ha definito “la più bella del mondo”. E crediamo, inoltre, che sia giunto il momento di ribaltare il paradigma culturale berlu-leghista ed affermare con forza che, se queste due regioni hanno conseguito gli straordinari traguardi che tutti riconoscono loro, una parte del merito vada attribuita ai moltissimi immigrati che ieri partivano dal Sud e oggi provengono dall’Europa dell’Est o dalle coste dell’Africa e hanno trovato lassù persone dalla mentalità aperta, pronte ad accoglierli, a valorizzarne le capacità e le competenze e a farli sentire protagonisti di un’unica, grande comunità.