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Oltre 20mila firme in un giorno per l’appello rivolto a Giovanna Melandri: “consenta la proiezione del film di Emmott il 13 febbraio”

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E’ vietato parlare di politica in campagna elettorale? Questa sembra la singolare tesi sul rinvio della proiezione di “Girlfriend in a coma“, il film di Bill Emmott, ex direttore dell’Economist e della film-maker Annalisa Piras, la cui prima era prevista per il 13 febbraio prossimo all’auditorium del Maxxi di Roma. Un film giudicato “troppo politico”, perché riflette sul declino dell’Italia degli ultimi vent’anni attraverso alcuni personaggi chiavi della nostra storia recente. A chiedere il rinvio a data da destinarsi, ma non prima delle elezioni politiche, è stata Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi che ha rivendicato la sua scelta: “E’ mio dovere tenere la campagna elettorale fuori dal museo”.

La motivazione fornita è che, essendo il Maxxi una fondazione privata che gestisce un museo sotto il controllo del ministero della Cultura, non ha il permesso di ospitare eventi che potrebbero essere considerati “politici”, data l’imminenza delle elezioni. Un‘interpretazione tutta italiana dal momento che il film è già stato proiettato a Londra, New York, Bruxelles in contesti equivalenti. Nessuno poi ha ancora ha spiegato cosa ci sia di “troppo politico” nel film di Emmott e Piras. Perché? Semplice, non l’hanno visto. E’ la solita storia: si chiede la sospensione o il rinvio di un lavoro televisivo o cinematografico senza conoscerne di fatto il contenuto. Tra l’altro se passasse questo concetto dovrebbe essere immediatamente cancellata la programmazione dalle sale di decine di film italiani e internazionali, attualmente in circolazione, che hanno “valenza politica” quanto trattano di guerra, di lavoro, di eutanasia…

Contro questa forma di “censura preventiva” sulla piattaforma Change.org c’è una petizione che vi invitiamo a firmare per chiedere alla presidente Melandri di fare marcia indietro, di riprogrammare l’uscita del film prima delle elezioni, così da evitare che l’Italia scenda ulteriormente in quelle graduatorie internazionali della libertà di espressione che ci vedono già in una posizione molto umiliante.


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