di Norma Ferrara
Sono giovani che hanno dai 16 ai 20 anni e sono protagonisti del percorso “Amunì” un progetto realizzato da Libera in collaborazione con USSM, l’ufficio servizi sociali per i minorenni di Palermo.“Amunì”è una sfida che diventa occasione di crescita e conoscenza per i formatori e per i ragazzi “a rischio” che sono stati affidati all’area penale. Dura un anno intero e in queste settimane è impegnato a trovare i fondi per portare i ragazzi coinvolti nel progetto alla Giornata nazionale della Memoria e dell’Impegno a Firenze. Abbiamo intervistato Girolamo Di Giovanni, uno dei responsabili di questo percorso che “incontra” i giovani e cerca di sottrarli alla cultura mafiosa e dell’illegalità.
“Amunì” in siciliano significa “Andiamo!”: come nasce e cos’è questo progetto?
Si tratta di un progetto portato avanti da Libera, sul territorio palermitano e trapanese, in collaborazione con l’USSM, ufficio servizi sociali per i minorenni di Palermo. Coinvolge venti ragazzi che stanno facendo un percorso di “giustizia riparativa”. Molti di loro sono al primo reato e fanno un percorso con noi all’interno di un progetto educativo più ampio che il tribunale, insieme agli assistenti sociali, prevede per ciascuno di loro. Le offerte formative incluse in questi percorsi sono molteplici e alcuni di loro vengono segnalati a noi che cerchiamo di coinvolgerli in “Amunì”, in accordo con gli assistenti sociali, con i servizi e con operatori molto motivati e di esperienza come Salvatore Inguì che è sia un operatore del dipartimento che un animatore di Libera sul territorio trapanese (territorio da cui arrivano alcuni dei ragazzi che partecipano al progetto).
Come si svolge il percorso formativo proposto?
Il percorso dura un anno e comincia con una presentazione delle nostre realtà e poi si traduce in una serie di attività strutturate che si dipanano per tutto l’anno. Alcune di queste prevedono, ad esempio, una visita sui beni confiscati ai boss, gli incontri a Casa Memoria dove viene raccontata la storia di Peppino Impastato, la partecipazione alla Giornata nazionale in memoria delle vittime delle mafie (che quest’anno sarà il 16 marzo a Firenze). Intorno a questi incontri si strutturano degli appuntamenti per contestualizzare e rielaborare l’esperienza fatta. Questi momenti sono anche lo spazio di ragionare sul reato che hanno commesso, parliamo di episodi che vanno dallo spaccio di droga, ai furti in appartamento ma anche altro.
Quali storie hai incontrato dentro Amunì ?
Le loro vite sono quelle di ragazzi che arrivano da quartieri difficili delle due province. Ma chiaramente aldilà di questo c’è molto altro. Come adolescenti sono molto simili e li accomuna anche un altro fattore che emerge in tutti loro: non hanno quasi mai presente il nesso che accomuna il loro reato singolo con la mafia, con la gestione che di quei reati fa l’organizzazione criminale sul territorio. Manca, per quasi tutti loro, il quadro complessivo, la cornice dentro cui hanno commesso il reato.
Il progetto è già al secondo anno, cosa cambia in loro dopo un anno di percorsi “riparativi”?
Innanzitutto, devo dire che tutti loro sono ragazzi molto motivati a “riparare” il reato commesso e la pena correlata. Sono giovani molto curiosi e vogliono sapere, conoscere. Noi abbiamo scelto un approccio educativo che non vuole proporre loro un pacchetto di risposte, o dire “noi siamo quelli bravi” e voi no. Al contrario abbiamo scelto la condivisione di esperienze e lo scambio come base educativa. Per molti di loro, abbiamo potuto verificare in questi primi anni è importante avere di fronte concretamente un “pezzo” di società civile che sa stare insieme, che fa cose che funzionano. Questo li aiuta ad aprire una riflessione, ad avere davanti un’altra prospettiva. In quello spazio che si crea dall’incontro ci inseriamo noi: appuntamenti con i familiari di vittime delle mafie, con chi è impegnato ogni giorno sul territorio, con i risultati concreti prodotti dalla società sana su territori che un tempo erano gestiti dai criminali. Questo non ci garantisce un risultato certo. Sappiamo che il condizionamento del luogo da cui provengono, delle loro vite private, è molto forte. Ma riusciamo a creare piccoli cambiamenti interiori che rimangono.
C’è stato un episodio che ti ha colpito particolarmente?
Molti a dire il vero, quasi quotidianamente. Il progetto è un momento di crescita reciproca, soprattutto per noi formatori. Ricordo, ad esempio, lo scorso anno quando hanno incontrato il padre del poliziotto Agostino: di fronte all’immagine dello “sbirro” a fine incontro ti rendi conto che hai aperto una breccia su un pregiudizio che pure rimane, ma cambiando la prospettiva.
Il prossimo 16 marzo saranno a Firenze …
Si l’obiettivo di questi giorni è riuscire a trovare le condizioni economiche per portarli con noi a Firenze. E per sostenere il progetto ci stiamo rivolgendo soprattutto alla numerosa rete di associazioni e cittadini aderenti a Libera. Abbiamo poco tempo per prenotare biglietti aerei quindi spero che la generosità che sempre mostra la rete territoriale di Libera possa in queste ore aiutarci a regalare a questi giovani una esperienza così importante per questo percorso. Molti di loro sono stati già coinvolti in prima persona in alcuni importanti eventi contro le mafie: dallo scorso 21 marzo a Genova sino al 23 maggio, l’anniversario strage di Capaci, a Palermo. In queste occasioni abbiamo già provato a renderli “parte” dell’organizzazione ed evitare che si sentano invece spettatori passivi. Così sarà anche a Firenze, il prossimo 16 marzo.