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Tre libri indispensabili per “fare giornalismo”

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E’ giunta l’ora di fare il punto sul giornalismo e sulle sue nuove frontiere digitali.

Ci viene in aiuto Ignacio Ramonet. In “L’Esplosione del Giornalismo”, edito recentemente da Intra Moenia, l’ex direttore di Le Monde diplomatique racconta il romanzo contemporaneo di giornali e giornalisti che, attraverso il Web e le sue tumultuose innovazioni, o ancora sulla carta stampata, cercano di reinventare il loro ruolo in un nuovo mondo in cui si è passati dai “media di massa alla massa di media” (sottotitolo del libro), dove cioè ogni singola persona può comunicare quel che vuole raggiungendo un pubblico più o meno esteso.

Anche Ramonet ritiene rivoluzionario l’avvento di Internet, dei social network, di tutti i dispositivi digitali e di tutte le tecniche e modalità connettive immateriali, specialmente nel campo dell’informazione. Ogni cittadino moderno è, infatti, potenzialmente un “informatore” o un giornalista e ciò non può altro che far bene nell’ottica della promozione di una informazione libera ed indipendente e del contemporaneo “lavoro di smantellamento” delle concentrazioni di potere del mainstream mediatico. Nel suo nuovo libro, e specificatamente nei capitoli intitolati “L’Erosione della Credibilità dei Media” e “Ballisti Seriali”, Ramonet elenca proprio tutte le debolezze dei grandi network d’informazione la cui colpa maggiore, al di là dei contenuti -spazzatura che propongono quotidianamente (dal gossip all’infotaiment “più spinto”), rimane l’asservimento ai poteri politico-economici. Altro che cani da guardia del potere! D’altronde, in Italia e nel resto del mondo, i giornali, le radio e le tv sono frequentemente controllati da dinastie che conducono affari anche in altri settori dell’economia…In “Ballisti Seriali”, Ramonet presenta alcuni dei casi più estremi di “malainformazione”, di un giornalismo viziato in origine da faziosità e disonestà (e-o incompetenza).

A questo proposito, è utile recuperare anche l’ultimo volume di Mauro Forno, uscito qualche mese fa con Laterza, in cui viene tracciato, dettagliatamente e senza censure, un quadro storico dei rapporti tra potere politico, economico e finanziario e mondo giornalistico italiano: una prassi di lungo periodo, declinata dal fascismo in forme mai viste prima ma non pienamente rimossa neanche dalla transizione alla democrazia repubblicana. Per l’autore, “si tratta di una delle conseguenze della particolare connotazione storico-politica di un paese come il nostro, nel quale una ristretta oligarchia ha guidato tutti i passaggi decisivi della vita economica e politica e ha riprodotto un modello spiccatamente gerarchico nella distribuzione della ricchezza e del potere, anche a livello di influenza sui canali di informazione. A questa condizione ha fatto non di rado da corrispettivo la malcelata aspirazione di vari celebrati rappresentanti del mondo giornalistico italiano di entrare a far parte di quella stessa ristretta oligarchia, in una logica di non alterazione e, anzi. spesso di salvaguardia dei rapporti di potere”. In “Informazione e potere. Storia del giornalismo italiano”, Mauro Forno prende, dunque, in esame gli ultimi centocinquant’anni di storia italiana e analizza le maggiori questioni ed espressioni che hanno caratterizzato il giornalismo italiano: i periodici d’informazione, confessionali e di partito, le strutture governative di controllo, il sindacato di categoria, la propaganda di guerra e l’esperienza fascista, l’istituzione dell’albo, le leggi repubblicane sulla stampa e l’editoria, fino ad oggi, all’avvento della televisione e, poi, di internet e dei social network.

Il lavoro di Ramonet si rivela, tuttavia, ancor più interessante, perché, seppur indirettamente, offre delle istruzioni pratiche per cogliere e provare a vincere le sfide lanciate dal web 2.0 (che, fra poco, diventerà 3.0) richiamando alcuni esperimenti di giornalismo fatto e finanziato dal basso, incluse le piattaforme di crowdsourcing, che hanno ottenuto un discreto successo nel mondo (come ProPublica), oltre ai “grandi casi” Wikileaks e Huffington Post.

Ciononostante, pure il web nasconde parecchie insidie e trappole. Se, da una parte, l’orizzontalità partecipativa che garantisce può rimettere in discussione il potere e la superiorità dei media tradizionali, dall’altra parte, la moltiplicazione di quelli che sono stati definiti “pro-sumer” e dei contenuti offerti gratuitamente su tutta la rete contribuisce alla precarizzazione della stessa professionialità (e performance) giornalistica. Se i blogger e i gli internauti hanno gli strumenti per “far informazione” ancor prima dei giornalisti, se su twitter e facebook tutti hanno la possibilità di raccogliere informazioni che “fanno notizia”, bisogna allora interrogarsi, sostiene Ramonet, su cosa si debba intendere per “giornalista” e quale sia la sua “funzione” al giorno d’oggi. Non a caso, le redazioni di tutto il mondo, incluse quelle delle principali testate italiche, proseguono in quella cura dimagrante che sta progressivamente assottigliando i loro organici (e aumentando la schiera di free-lance esterni sottopagati, oltre a tutti gli stagisti che lavorano gratis). Recentemente, ad esempio, La Stampa ha abbandonato lo storico palazzone in cui, per decenni, ha curato le proprie attività editoriali per trasferirsi in unico piano open-space, seppur finalmente al passo col progresso tecnologico. Del resto, su una questione, istanza o problema di tipo “locale”, grazie agli strumenti connettivi di cui può disporre chiunque (anche un bambino), è molto probabile riuscire ad ottenere un’informazione più precisa e completa (e-o più immediata) da un attore di quella specifica realtà che da un giornalista professionista oggettivamente limitato nella sua proposta di approfondimento, oltre che dalla “distanza fisica”, dalla disponibilità di tempo da spartire con il confezionamento di altri servizi.
La moltiplicazione esponenziale di materiale, fonti e “voci” può paradossalmente aggravare, inoltre, il problema della scarsa qualità dell’informazione. Riguardo ad un accadimento si può creare, da più parti, molta confusione, alimentare notizie fasulle ed interpretazioni lontane dalla realtà, sino ad incorrere in vere e proprie bufale. Oppure, e questo vale soprattutto per chi vuole dare le notizie, si rischia di abituarsi alla superficialità ed all’omologazione, sottraendosi alla verifica del “fatto” sul campo, tralasciando, cioè, un suo approfondimento: un fatto-notizia può essere “rimasticato” da numerose agenzie, service redazionali, commentatori, blogger e redazioni giornalistiche sino a impoverirlo. I grandi giornali, infine, non potendo competere con la gratuità e la velocità di internet, si mostrano sempre più interessati ad escogitare strategie di marketing che attirino nuove masse di consumatori da “vendere” agli inserzionisti pubblicitari, in modo tale da compensare il calo delle vendite di copie, abbonamenti o allegati e offrendo, di conseguenza, in imitazione del modello televisivo, contenuti che mirano più “alla pancia che alla mente”, a scapito dei generi “alti” come l’inchiesta, il reportage o il dossier d’approfondimento.
Chiarito il quadro storico attuale, dovrebbe, tuttavia, restare  saldo il presupposto che una buona e corretta informazione, specialmente per le tematiche più complesse ed estese, necessita ancora di giornalisti esercitanti la loro attività in modo professionale, con delle precise responsabilità, rispetto all’ideale di “perseguimento della verità”, e un investimento di competenze, fiuto ed acutezza, esperienze, capacità comunicative e d’indagine, tempo e risorse culturali-intellettuali che devono essere adeguatamente ricompensati…

Le linee di riflessione tratteggiate da Ramonet sono riprese dal giornalista 37enne Davide Mazzocco in “Giornalismo digitale. Architettura, programmazione, ottimizzazione” di Edizioni della Sera, un altro manuale da conservare nel cassetto specialmente per gli aspiranti giornalisti o professionisti della comunicazione. Mazzocco è sostanzialmente d’accordo con la visione d’insieme di Ramonet: “la rivoluzione che sta interessando la stampa non è soltanto una riconversione di supporto: si tratta di un’irreversibile riorganizzazione della produzione, della tempistica e della fruizione in grado di ribaltare la logica che voleva i giornalisti come unici enti di mediazione fra gli eventi e il pubblico”. Per Mazzocco, quindi, “il giornalista digitale deve essere conscio della necessità di un diverso confronto con la realtà nel quale gli stessi lettori, con i loro feedback, possono diventare co-autori del prodotto editoriale”. Siamo giunti in un’epoca, infatti, – e qui si integra il pensiero di Ramonet – “dove  il compito del giornalista sarà sempre meno quello di dare le notizie, perché le notizie saranno date a prescindere dalla sua partecipazione.

Il suo ruolo deve, dunque, salire a un livello logico superiore, dentro la sfera della complessità dell’informazione, laddove un contributo professionale è determinante per fare sintesi competenti, sviluppare approfondimenti e generare relazioni”. Questo volume, però, ancor di più di quello di Ramonet, si rivela una guida precisa e calibrata, orientata ad un sano pragmatismo, per affrontare positivamente le problematiche collegate ai tre punti nodali di una start-up giornalistica: la progettazione e l’architettura di un sito di informazione nel contesto dell’attuale panorama editoriale e nell’era della crossmedialità; la programmazione, le tempistiche e le peculiarità di un giornale online; le strategie per promuovere al meglio il proprio lavoro attraverso l’indicizzazione sui motori di ricerca e l’utilizzo dei social network.
Dopo un’introduzione al “new journalism”, in riferimento principalmente al contesto italiano, Mazzocco si addentra nei processi di operatività esaltando l’importanza del saper “categorizzare”, scegliere le immagini, i link esterni ed interni, creare reti di reciproca legittimazione e conoscere alcuni trucchi anti-plagio. Per Mazzocco è fondamentale razionalizzare i tempi, le risorse e la divisione del lavoro, mentre diventa cruciale saper giocare d’anticipo, tanto che prova ad offrire delle precise strategie per riuscirci.
Inevitabile che si soffermi sulla questione delle fonti (dirette, ufficiali, indirette, social network) e su uno strumento che sta diventando sempre più importante per aumentare i flussi di utenza, il “liveblogging”: come crearlo, gestirlo, promuoverlo ed archiviarlo. Altrettanto importante, ormai, è l’ottimizzazione dei titoli e dei testi “SEO oriented” e l’analisi dei flussi e delle statistiche a cui il libro dedica una dozzina di pagine.
Senza mai dimenticare, tuttavia, che si tratta di un mondo costantemente provvisorio, che fa selezione naturale anche tramite la capacità di aggiornarsi alle continue innovazioni tecnologie e connettive.
Un manuale, per adesso, unico nel panorama editoriale, da recuperare al più presto per chi si vuole avvicinare alle professionalità dell’informazione e del giornalismo o desidera migliorare, in termini di efficienza, qualità e diffusione, la propria produttività giornalistica.


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