Armati di tutto punto, i miliziani tuareg che combattevano per Gheddafi, dopo la fine del loro datore di lavoro, se ne tornarono nel Mali, guidando “l’insurrezione” del nord. I viaggi di fine 2011 da parte di strettissimi collaboratori dell’ex raìss libico e dello stesso figlio Saif confermano la centralità del Mali nella partita che gli eredi di Gheddafi combattono.
Altro corno centrale nella manovra del “clan” è l’Algeria, dove hanno trovato riparo i familiari, i più stretti accoliti dell’ex raìss, e 200 miliardi di dollari, il bottino del clan.
E’ una bella cifra, utile a pagare tanti ma anche a garantire una sorta di assicurazione sulla tenuta dell’Algeria: “voi ci ospitate, noi portando da voi il nostro bottino arricchiamo le vostre banche e vi teniamo fuori dalle fiamme.”
Forse è per questo che gli algerini hanno reagito al sequestro delle ore trascorse con tale cecità e soprattutto senza raccordarsi nè con Parigi né con Washington. Parlavano nel loro linguaggio ai loro “AMICI”.
Algeri conosce i piani di destabilizzazione del clan, e vuole esserne risparmiata. Anche per questo ha avversato un intervento in Mali nei mesi trascorsi: per il timore che i combattenti gheddafiti scacciati dal Mali rifluissero verso nord.
“Algeri sa che il loro obiettivo a nord è conquistare Bengasi,e non vuole rogne”, assicurano in molti.