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L’ultima minaccia alla libera informazione

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di Angelo Venti
Si chiama “diritto all’oblio” l’ultima minaccia alla libertà di stampa e soprattutto al diritto dei cittadini ad essere informati. Minaccia che arriva con una sentenza, quella del giudice Rita Carosella del tribunale di Ortona, che riconosce a un ricorrente il diritto all’oblio (diritto ancora non regolamentato da alcuna legge), oltre alla prevalenza del diritto alla privacy su quello di cronaca. Sembra incredibile, ma il giudice sostiene che la notizia, pur essendo “vera e corretta“, andava cancellata dal sito, in contrasto con la tesi della testata e del suo direttore, che invece ha affermato “l’interesse pubblico di conoscere i fatti anche a distanza di tempo”. Con questa sentenza si apre una voragine in cui rischia di precipitare la stampa online e non solo. “Pensate alle conseguenze se passasse in tutti i tribunali la linea dei magistrati abruzzesi – scrive giustamente Primo Di Nicola sul suo blog nel sito dell’Espresso – in pochi anni vedremmo sparire dagli archivi online le malefatte di tutti i mascalzoni italiani, a cominciare dai più noti che si annidano nei rami alti delle nostre screditate istituzioni e che non vedono l’ora di rifarsi una verginità cancellando il passato.” Di Nicola denuncia il disinteresse della politica ma anche degli addetti ai lavori. “Cosa aspettano la Federazione della stampa e l’Ordine dei giornalisti a promuovere, magari proprio a Pescara, una manifestazione nazionale sul tema per sollecitare l’attenzione dei cittadini e magari pure quella, cosi distratta, dei politici, a cominciare da quelli abruzzesi? Di mezzo – conclude Di Nicola – non c’è solo il destino di una testata giornalistica, ma i principi  fondamentali del nostro ordinamento“. La prima vittima di questo vuoto legislativo è Primadanoi.it . La più prestigiosa testata online abruzzese, la più impegnata nella denuncia delle infiltrazioni criminali e della corruzione dilagante in questa regione, rischia ora la chiusura: è stata condannata a pagare multe e spese legali per circa 17mila euro. Ne abbiamo parlato con il direttore della testata, Alessandro Biancardi.

A 24 ore dalla lettura della sentenza, cosa pensi?

Penso che questa sentenza ci dimostri che il giornalista non deve stare più solo attento a scrivere cose vere e corrette ma viene condannato se non rispetta una ‘data di scadenza’ che però nessuno sa fornirci. Il diritto di cronaca soccombe davanti alla privacy. Il diritto all’informazione, pure garantito dalla Costituzione a tutti i cittadini, passa in secondo piano.  Non è la prima volta che ci accade. Dopo la prima sentenza sono successe delle cose, c’è stato un forte dibattito, anche il Garante della Privacy, Paissan ha preso una posizione chiara parlando di decisione senza senso e ribadendo che non può esserci una scadenza. Un punto di vista, il suo, molto interessante perché ricordo che la sentenza si basa tutta su una interpretazione della legge sulla privacy: dunque c’è la maggiore autorità in materia (il Garante appunto) che sostiene delle cose,  poi arriva un secondo giudice che sostiene  il contrario del Garante ma riprendendo a piene mani la decisione di due anni prima del suo collega. Questo è quello che è successo.

Cosa intendi fare?

Adesso siamo in sciopero a tempo indeterminato e cerchiamo di sostenere i danni pubblici e privati che derivano da questa decisione.
Siamo scoraggiati, attoniti. Nel nostro archivio ci sono oltre 90 mila articoli: qualcuno mi dica cosa devo farne. La giustizia li cancella a colpi di sentenza mentre io li tengo on line per tutelare il diritto di tutti i cittadini di conoscere, di sapere. Io difendo il diritto di cronaca ma pare che sia l’unico scemo. Questa sentenza però non riguarda solo me ma, come ho già avuto modo di dire a quanti ho sentito in queste ore, questo è un sassolino che sta rotolando già dalla montagna e che può trasformarsi in una valanga per tutti.

La categoria come si sta comportando?

Ho parlato con l’Ordine regionale che ha capito precisamente quello che sta accadendo. Del caso si è interessato anche l’Assostampa, l’Unci, la Fnsi. Il giornalista de L’Espresso Primo Di Nicola chiede una mobilitazione nazionale che parta proprio da Pescara. Gli addetti ai lavori hanno compreso la gravità di questa sentenza. Forse un po’ meno l’hanno capita i lettori e i cittadini. A fronte di tantissimi che ci dichiarano solidarietà, che ci chiedono di non mollare, che si offrono addirittura di partecipare materialmente all’esborso dei 17 mila euro, ce ne sono anche tanti che dicono ‘ma che vi frega? Cancellateli questi articoli…’. Vorrei che capissero che li tengo on line anche per loro. Cancellare uno, due, tre articoli a me non cambia niente nella sostanza. Non ci guadagno niente in termini economici a lasciare i nomi di persone arrestate. Io difendo solo il diritto di cronaca. Io faccio solo il mio mestiere, non voglio fare né l’eroe né il martire, questo sia chiaro.

E al diritto all’oblio delle persone non ci pensi?

In tutti questi anni siamo stati più che delicati con le persone, con il trattamento dei dati, con i minori e facciamo nomi solo quando la legge ce lo consente. Capiamo benissimo, come pure mi hanno detto tante volte,  frasi del tipo “ma lei non sa il danno che mi procura? I miei figli navigano su internet e leggono queste cose… ma si rende conto?”. Beh il paradosso è questo: ci sono personaggi che fanno cose, il giornalista le scrive e poi la colpa e la responsabilità non è di chi ha fatto quelle cose  ma del giornalista che ha raccontato. Quando questo principio viene suggellato da due giudici allora credo che bisogna proprio preoccuparsi.

Cosa pensi che possa accadere?

Su questo ho le idee più che chiare perché mi è stato sbattuto in faccia proprio in queste ore. Dopo venti minuti che ho pubblicato la sentenza di condanna è arrivata una telefonata di un tizio che mi ha chiesto di cancellare cinque  articoli che lo riguardano. A 24 ore posso dirti che ho nella email almeno 5 richieste dello stesso tenore. Che cosa credi che debba fare? ….Immolarmi in attesa che un altro giudice applichi il diritto alla privacy e mi chieda di dimenticare che Tizio è stato arrestato, Caio è stato condannato? Mi dispiace ma  non lo farò. Non dirò nemmeno che continuerò a testa alta e che queste cose non ci intimidiscono.   E’ questo il risultato umiliante, è questo lo stupro che il diritto all’informazione dei cittadini sta subendo.

Presenterete appello?

Certo faremo appello, così come abbiamo fatto già con la prima condanna. L’appello che in realtà è un ricorso si fa in Cassazione che si prende i suoi tempi e due anni non bastano. Quando arriverà quella decisione avremo raggiunto almeno un obiettivo. Nel caso in cui la Cassazione ci dovesse dare ragione avremo la conferma che stavamo seguendo la strada giusta e non siamo stati compresi, anzi siamo stati puniti. Nel caso in cui anche la Cassazione ci dirà che la privacy prevale sul diritto di cronaca allora potremo tirare comunque un sospiro di sollievo perché avremo una massima che sarà sicuramente chiara sulla data di scadenza degli articoli. Allo stesso tempo, però, ci dovremo preparare a vedere scomparire dal web tutte le notizie scomode a qualcuno.  E allora vorrà dire che quel sassolino che ieri mi ha colpito è diventato la valanga che io già intravedevo. E laggiù a valle ci sono tutti i giornalisti e tutti i cittadini di questo strano paese.

tratto da www.liberainformazione.org


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