Non può piacere la dura polemica che si è scatenata nei giorni scorsi tra due magistrati che hanno sicuramente meritato del nostro paese combattendo, con fermezza e qualche pericolo personale, le associazioni mafiose, partite dalla Sicilia,dalla Calabria e dalla Campania, e approdate ormai nel secondo dopoguerra alle regioni settentrionali della penisola non soltanto per la lucrosa attività di riciclaggio del denaro illecito ma riuscendo a fondare importanti avanposti e succursali nelle grandi e piccole città del Nord a cominciare da Milano ex capitale morale e da Torino una volta centro del miracolo economico e ancora capitale-sia pure dimidiata con la succursale americana della Fiat-dell’auto.
I personaggi di cui parliamo sono,come i media hanno indicato con particolare sottolineatura, l’ex procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia e il procurare aggiunto di Milano, Ilda Boccassini.
Sono entrambi magistrati che hanno meritato della repubblica per la lotta accanita che hanno lottato- con tenacia e accanimento- contro le associazioni mafiose,partite dalle estreme regioni meridionali ma arrivate da alcune decenni nelle capitali del Nord,a cominciare dalla capitale dell’Auto,per quanto ormai in fase di difficoltà e di declino come Torino all’ex capitale morale d’Italia come Milano che è soltanto all’inizio di una effettiva rinascita complessiva.
Ma lo scontro che hanno avuto è davvero terribile, visto che la Boccassini ha detto a Ingroia che è un magistrato molto piccolo rispetto all’indubbia grandezza di un giudice come Giovanni Falcone e Ingroia ha alluso a un giudizio critico di Paolo Borsellino senza avere neppure l’ardire di citarlo e riprodurlo come sarebbe stato giusto fare per consentire agli audienti di farsi un’idea precisa del grave contrasto tra i due contendenti.
Insomma una vicenda che appartiene in pieno non allo scontro di idee che è sempre legittimo ma legato invece a uno scontro politico ed elettorale che si presenta oggi con le peggiori caratteristiche e che durerà purtroppo fino alla seconda metà di febbraio.
Peccato per i due protagonisti che pure negli anni scorsi abbiamo stimato per la loro battaglia e per l’atteggiamento che dovrebbe essere in tutti e due di porre al primo posto la battaglia contro le associazioni mafiose e che in queste condizioni rischia di apparire come un diverbio tra due prime donne(o uomini) del mondo giudiziario prestato a una politica che di giorno in giorno appare sempre meno credibile e attraente.
Vero è che siamo in un paese nel quale le mafie crescono e i libri dedicati ad essi diventano sempre più numerosi anche se,come è fatale, non sono della medesima qualità e intanto la lotta da parte dello Stato diventa sempre meno invece che più penetrante ed efficace contro un pericolo che consegue sempre risultati migliori e rischia di mettere ancora una volta in pericolo le libertà degli italiani e la stabilità della democrazia repubblicana.