Eppure, malgrado l’ipermediatica rivolta della base, Maroni la base la rappresenta. Almeno antropologicamente. Se non tutta, quella riferibile alla corrente dominante dei barbari sognanti, dove di “barbari” va rimarcata la significativa iterazione sillabica: il fatto, cioè, che la parola, a parte la “i” finale, sia costituita dalla ripetizione del lemma-sillaba “bar”. Ed evocano un’atmosfera, un clima, un humus umano due volte da bar del varesotto, le ultime mosse tattiche del segretario del Carroccio, così come i toni con cui lui le racconta, le espressioni che usa, le facce che fa: “Dài, Bobo, dicci quella dell’alleanza con Silvio che non si poteva più fare ma che ora invece si fa però Silvio non fa più il premier che magari lo fa Tremonti anche se Silvio lo detesta e dice che lo potrebbe fare Alfano e invece poi ci mettiamo Tosi, così ci teniamo buono il Veneto!”.
E il Bobo, stecchino fra i denti e stecca fra le mani, si tira su dal tavolo del biliardo e la racconta di nuovo, arricchendola anche stavolta di sapidi dettagli inediti (chessò, di come nella villa di Arcore, dopo aver fregato politicamente Silvio, gli ha fregato pure un posacenere): frasi scarne ma dense, brumose come la nebbia padana che alimenta fantasie e sogni. Sognanti, per l’appunto, gli avventori del bar-bar, trasognato l’occhio del Bobo: come quando, tempo prima, raccontava quella di lui che, da solo e a mani nude, aveva sgominato la Mafia, che peraltro al Nord non c’era, ed era andato anche a raccontarla da Fazio per smentire Saviano, e quasi lui non ci credeva, lui Bobo, si intende. Che però, per darsi un tono, al bar-bar vorrebbe lo chiamassero Roberto: “Ma per fortuna che c’è Roberto / che di politica è un vero esperto / non è di grande compagnia / ma è il più simpatico che ci sia!”.
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*tratto da l’Unità