E’ Malala, la piccola attivista per il diritto all’istruzione delle bambine in un luogo complesso e difficile come il Pakistan, la prima buona notizia di questo 2013. E’ la forza, la determinazione, la voglia di vivere e di cambiare il corso della storia da parte di questa ragazzina di appena 15 anni ( e questo non è un dettaglio) a inculcare un barlume di speranza in ognuno di noi, negli adulti che a volte la voglia di cambiare la ripongono delicatamente in un cassetto senza mai più riaprirlo se non per finta.
Malala, piccola grande donna, colpita da un proiettile sparato in testa da un talebano, da un uomo, ha vinto la sua battaglia contro la morte, quando le sue condizioni erano apparse disperate sin da subito e ora è affidata a un programma di riabilitazione, lontana, molto lontana dal suo Pakistan, lontana dalle amiche, da bambine e donne che come lei continuano a subire la cieca violenza e il sopruso da parte di un mondo maschile che le vorrebbe zitte, incapaci di pensare e agire autonomamente. Lontana da quell’India dove in questi giorni l’indignazione delle donne sta percorrendo il paese con rabbia a determinazione per ottenere giustizia: per la ragazza stuprata e ammazzata qualche giorno fa, e per tutte le donne stuprate, picchiate o uccise in tutti questi anni, per il loro diritto alla vita.
La battaglia di Malala è anche per loro e forse è un po’ anche per noi…
I dati dei femminicidi per il nostro paese incominciano ad emergere pian piano come una nuova emergenza nazionale. Se fino a qualche anno fa questo termine non veniva neanche utilizzato da un po’ di tempo a questa parte ha cominciato a far parte del linguaggio comune usato dai media. Un passo avanti nella direzione di una corretta informazione rispetto ad una piaga sociale per troppo tempo sottovalutata, sminuita come si trattasse di semplice cronaca nera, un passo indietro in termini di civiltà per il nostro paese.
Solo il mese di dicembre è costellato dalla morte di molte donne, morte inflitta da mariti, figli, fratelli… uccise perchè non andavano più bene, o perchè davano fastidio, all’uomo di turno. Davano fastidio, come Malala, diventata scomoda perchè troppo libera, perchè capace di pensare e di contestare un intero sistema di potere, quello che vorrebbe la cultura appannaggio solo maschile.
Ed è proprio la cultura ( quella per cui Malala ha rischiato la vita) l’elemento cardine a cui bisognerebbe fare affidamento, il perno dal quale partire per arginare la deriva che è in atto, la violenza cieca che continua a vedere nella donna l’oggetto di cui sbarazzarsi quando non serve più, la cultura e dunque l’istruzione, che non può più prescindere dall’affrontare le questioni di genere fin dalla più tenera età, e l’informazione nella sua capacità di restituire l’immagine della donna per quello che è realmente e non per come un uomo vorrebbe vederla. Tutte questioni che il movimento femminista ha da sempre portato avanti ma che pure continuano ad essere di spaventosa attualità senza che reali passi avanti si vedano all’orizzonte.
Basta fare un piccolo passo indietro, di qualche anno ( 1979) e andare a rivedere Processo per stupro, trasmesso dalla Rai… la strada da percorrere è ancora tanta.